Ai fini del riconoscimento dell’assegno di divorzio la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ripropone il parametro del tenore di vita dei coniugi durante la convivenza matrimoniale
Le Sezioni Unite – dirimendo il conflitto giurisprudenziale venutosi a creare in seguito alla pronuncia della nota sentenza n 11504 del febbraio 2017 – con la successiva sentenza n. 18287 del 11 luglio 2018 hanno precisato, che ai fini del calcolo dell’assegno di divorzio di cui all’articolo 5 della L. 1° dicembre 1970, n. 898 occorre tenere in considerazione non il tenore di vita, ma diversi fattori, attraverso un criterio c.d. “composito” che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’avente diritto.
Tale valutazione sarebbe conforme agli artt. 2,3,29 della Costituzione e permette una quantificazione che rispecchi in particolare il contributo del coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune, frutto delle decisioni comuni, adottate in sede di costruzione della comunità familiare, riguardanti i ruoli assunti da ciascun coniuge all’interno della famiglia, in relazione all’assolvimento dei doveri indicati nell’art. 143 c.c..
La sentenza afferma che il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale.
L’applicazione del criterio dell’autosufficienza economica – osserva la Corte – è foriero di gravi ingiustizie sostanziali, in particolare per i matrimoni di lunga durata ove il coniuge più debole, che abbia rinunciato alle proprie aspettative professionali per assolvere agli impegni familiari, improvvisamente deve mutare radicalmente la propria conduzione di vita.
Il richiamo, contenuto nella sentenza n. 11504 del 2017, all’art.337 septies c.c. che fissa il criterio dell’indipendenza economica ai fini del riconoscimento del diritto ad un contributo per il mantenimento dei
figli maggiorenni non autosufficienti non è stato ritenuto condivisibile in quanto le condizioni soggettive rispettivamente dell’ex coniuge e del figlio maggiorenne non autosufficiente non sono comparabili: il figlio maggiorenne ha il compito sociale, prima che giuridico, di mettersi nelle condizioni di essere economicamente indipendente e l’obbligo di mantenimento è definito temporalmente in funzione del raggiungimento dell’obiettivo. Il coniuge, specie se non più giovane, che abbia rinunciato, per scelta condivisa anche dall’altro, ad essere economicamente indipendente o abbia ridotto le proprie aspettative professionali per l’impegno familiare si può trovare, in virtù dell’applicazione del criterio dell’indipendenza economica, in una situazione di irreversibile grave disparità. L’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente perdura fino a quando non sia raggiunto un livello di indipendenza adeguato al percorso di studi e professionale seguito, mentre all’esito del divorzio per il coniuge che abbia le caratteristiche soggettive sopra delineate, la condizione deteriore in cui versa non ha alcuna possibilità di essere emendata, essendo fondata su una sperequazione reddituale e patrimoniale non più colmabile.
Alla fine, le sezioni unite sentenziano che l’assegno di divorzio “non è finalizzato alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole”; pertanto l’assegno di divorzio può riconoscersi ove, accertata la disparità di condizioni economiche “questa derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo consumato esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia e dal conseguente contributo fattivo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge”.
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