Assegnazione della casa coniugale al coniuge affetto da disabilità in presenza di figli minori
La tematica dell’assegnazione della casa famigliare in sede di ricorso per separazione personale tra i coniugi, prevede delle particolarità di disciplina non sempre di facile comprensione.
Il Giudice adito, nel provvedere all’assegnazione della casa famigliare ad un coniuge piuttosto che all’altro, dovrà considerare diverse circostanze (titolarità del diritto di proprietà sulla casa coniugale, presenza di interessi meritevoli di tutela come ad esempio la disabilità di uno dei due coniugi ecc.), ma innanzitutto andrà a guardare se dall’unione sono nati dei figli (legittimi o naturali) e verificherà se essi siano minori e nel caso siano maggiorenni, se essi siano economicamente autosufficienti.
Volendo semplificare la questione, in assenza di figli, l’Autorità Giudiziaria competente non adotterà alcun provvedimento di assegnazione della casa coniugale. Per completezza espositiva, è necessario avvertire che ci sono, tuttavia, dei casi particolari nei quali il coniuge non proprietario può vedere costituito a suo favore, sulla casa famigliare di proprietà dell’altro coniuge, un diritto di abitazione ex art. 1022 c.c. o un vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c.
Nel caso in cui non ci siano figli, ma invece la casa sia di proprietà di entrambi i coniugi, non c’è alcun criterio per privilegiare l’uno o l’altro: il giudice potrebbe quindi ordinare la divisione giudiziale dell’immobile.
Secondo la giurisprudenza dominante di legittimità, in presenza di figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti, l’assegnazione della casa coniugale spetta sempre al coniuge affidatario secondo quanto stabilito dall’art. 155 quater c.c., a prescindere dal titolo (proprietà o affitto) secondo il quale la casa è occupata da quest’ultimo. In sostanza l’ordinamento ritiene primario l’interesse della prole a continuare una vita serena nell’ambiente loro più familiare, soprattutto durante la traumatica esperienza della separazione dei genitori.
Questo orientamento giurisprudenziale, ha subito recentemente un’inversione di tendenza, infatti, la Corte di Appello di Venezia, decidendo su un reclamo ai sensi dell’art. 708 comma IV c.p.c., ha emesso un decreto innovativo in materia, con il quale assegna la casa famigliare all’ex marito affetto da grave disabilità (cecità totale) e coniuge non affidatario, togliendola alla moglie ed alla figlia di 11 anni, ribaltando completamente la decisione presa a riguardo, in sede presidenziale (C. App. VE decreto 06 marzo 2013).
Il Giudice di primo grado, interpretando restrittivamente la norma di cui all’art. 155 quater c.c. aveva assegnato la casa familiare al genitore convivente con la minore, ritenendo l’interesse dei figli l’unico rilevante ai fini dell’assegnazione.
La Corte di Appello invece ha precisato che l’ordinanza emessa è manifestamente errata, non solo perché il significato letterale e logico della norma consente tranquillamente di ritenere che il giudice, pur tenendo conto dell’interesse del minore a restare nella casa familiare, possa prendere in considerazione anche altri interessi, ma soprattutto perché non vi era stata adeguata valutazione degli interessi del coniuge non convivente con il minore.
In sostanza, secondo l’interpretazione della Corte di Venezia, il Giudice, pur valutando l’interesse del minore a restare nella casa coniugale, non può trascurare di prendere in considerazione anche altri interessi ed in particolare quelli del coniuge non affidatario e da ciò desumere se vi sia un interesse prevalente rispetto a quello del minore.
Precisato questo, la Corte d’Appello di Venezia ha stabilito che è meritevole di tutela l’interesse concreto e attuale del coniuge invalido di non vedere totalmente stravolta la propria esistenza, sia per quanto riguarda l’organizzazione e la gestione della vita quotidiana, sia in relazione alla propria attività lavorativa e che tale interesse sia prevalente rispetto alla tutela della prole: è necessario quindi valutare se le difficoltà date dal distacco affettivo della figlia minore dalla casa familiare, possano, o addirittura debbano, essere sacrificate a fronte di una situazione oggettivamente pesante, quale la condizione di invalidità data dalla cecità assoluta del genitore non affidatario.
L’interpretazione della Corte Veneziana dimostra inoltre, di recepire principi di carattere nazionale e sovranazionale che riconoscono i diritti fondamentali dell’uomo sanciti, oltre che dalla nostra Costituzione, anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dalla Carta di Nizza approvata il 7 dicembre 2000 a tutela dei diritti fondamentali, su cui si fonda l’Unione Europea.
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