Con la Legge n. 76/2016 c.d. Legge Cirinnà è stato disciplinato il contratto di convivenza e prevista la parificazione della famiglia di fatto a quella legittima
Con la legge Cirinnà n. 76/2016, le coppie c.d. di fatto hanno ottenuto, per la prima volta a livello nazionale, riconoscimento da parte del legislatore, con estensione degli stessi diritti riconosciuti alle coppie sposate, limitatamente ad alcuni importanti aspetti.
La novella definisce, innanzitutto, cosa deve intendersi per famiglia di fatto, ovvero un nucleo formato da persone di sesso diverso o anche dello stesso sesso, non legate da alcun vincolo matrimoniale che convivono more uxorio, assieme eventualmente ai figli frutto della stessa unione.
I conviventi di fatto devono, pertanto, essere due persone maggiorenni, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile, che coabitano ed hanno dimora abituale nello stesso Comune e sono uniti stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale (si fa riferimento, a tal fine, al concetto di famiglia anagrafica previsto dal regolamento anagrafico con Dpr n. 223 del 1989).
Come più sopra accennato, ai conviventi vengono riconosciuti una serie di diritti, attraverso un’estensione nei loro confronti di quelli previsti in favore dei coniugi, consentendo, in tal modo, di parificare le unioni di fatto a quelle tradizionali, fondate sul matrimonio, con riferimento a vari aspetti della vita familiare.
Innanzitutto la legge n. 76/2016 estende al convivente le stesse garanzie riconosciute al coniuge in materia di ordinamento penitenziario; garantisce i diritti di visita, assistenza e accesso alle informazioni personali in ambito sanitario, analogamente a quanto previsto per i coniugi ed i familiari. Significativo anche il riconoscimento di un potere di rappresentanza per le scelte mediche, consentendo a ciascun convivente di fatto di designare, in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità, alla presenza di un testimone, il partner come rappresentante, con poteri pieni o limitati per l’assunzione di decisioni in materia di salute, anche in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere ovvero, in caso di morte, per le scelte relative alla donazione di organi e alle modalità delle esequie.
Per quanto riguarda la materia dei diritti relativi all’abitazione, il legislatore, facendo propri i principi già sanciti dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, stabilisce che salvo quanto previsto dall’art. 337-sexies del c.c., in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Qualora all’interno dell’abitazione di comune residenza coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa per un periodo non inferiore a tre anni.
Il diritto di abitazione viene meno se il convivente superstite cessa di abitare stabilmente nella casa o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.
In materia di successione nel contratto di locazione, si ammette il convivente di fatto a detta facoltà nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza.
In tema di risarcimento del danno per il decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, la disciplina prevede che, nell’individuazione del danno risarcibile alla parte superstite, si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite, con una dichiarata equiparazione della convivenza di fatto al rapporto matrimoniale.
Il contratto di convivenza viene, altresì, definito della predetta legge, come l’accordo mediante il quale i partner decidono di regolamentare gli aspetti economici della convivenza, deve essere redatto a pena di nullità in forma scritta, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio, ovvero da un avvocato che ne devono attestare la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico. Ai fini dell’opponibilità ai terzi, copia del contratto di convivenza deve essere successivamente trasmesso, da parte del professionista che ne ha curato la redazione o che ne ha autenticato la sottoscrizione, al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe, ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al DPR n. 223/1989.
Il contratto deve inoltre contenere l’indicazione della residenza, le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo, il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Il contratto di convivenza non può essere sottoposto, inoltre, a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti.
Si stabilisce, inoltre, che il contratto di convivenza è affetto da nullità assoluta, ovvero insanabile, che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se concluso:
- in presenza di un vincolo matrimoniale, di un’unione civile o di un altro contratto di convivenza;
- in presenza di rapporti di parentela, affinità o adozione;
- in assenza di un legame affettivo stabile di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale;
- da persona minore di età;
- da persona interdetta giudizialmente;
- in caso di condanna per il delitto di omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra, di cui all’art. 88 del c.c.
Il contratto di convivenza si risolve, invece, su accordo delle parti o in caso di recesso unilaterale.
Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza, il professionista che riceve o che autentica l’atto è tenuto a notificarne copia all’altro contraente, all’indirizzo risultante dal contratto. Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione.
Altre cause di risoluzione contemplate dalla legge Cirinnà sono, inoltre, il matrimonio o l’unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed un’altra persona e la morte di uno dei contraenti.
Viene riconosciuto, infine, in caso di cessazione della convivenza di fatto, il diritto agli alimenti per il convivente che versi in stato di bisogno e che non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. Gli alimenti sono assegnati, con provvedimento del Tribunale, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’articolo 438, secondo comma del c.c., ossia avendo riguardo allo stato di bisogno dell’alimentando e alle condizioni economiche dell’onerato, sia pure in misura non superiore a quanto necessario per la vita dell’avente diritto. La riforma antepone l’obbligo alimentare dell’ex-convivente a quello che grava sui fratelli e le sorelle della persona in stato di bisogno.
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