Facebook e separazione dei coniugi: limiti all’utilizzabilità in giudizio delle prove dell’infedeltà coniugale
La legge italiana, in sede di procedimento per separazione personale tra i coniugi, prevede l’addebitabilità di quest’ultima, in capo al coniuge, che in costanza di matrimonio, abbia intrattenuto una o più relazioni extra coniugali, in violazione del dovere di fedeltà imposto dall’art. 143 comma II c.c.
Al giorno d’oggi, l’avvento di internet e dei social network ha reso più facile la scoperta del tradimento perpetrato dal partner nei nostri confronti: essi rappresentano delle vere e proprie fonti di prova e tracce digitali.
Risulta invece piuttosto complicato dimostrare in giudizio l’adulterio, soprattutto in presenza degli stringenti limiti imposti dalla legge sulla privacy riguardo l’utilizzo dei dati personali.
In genere accade che il coniuge, al fine di dimostrare l’infedeltà dell’altro, cerchi di raccogliere on-line quante più prove riesca a trovare a carico del consorte, in modo poi da poterle utilizzare nel giudizio di separazione. In questi casi, si pone il problema di verificare se e quando tali interferenze nella privacy altrui possano essere consentite, senza sfociare in condotte vietate dalla legge.
E’ necessario ricordare, che la Cassazione Penale ha sottolineato più volte, che al coniuge, in virtù dell’art. 616 comma I del Codice Penale, è vietato prendere visione della corrispondenza dell’altro, senza il suo consenso espresso o tacito (sent. Cass. Pen. Sez. V, 10.07.1997 n. 8838). Va precisato inoltre che la legge ricomprende nel concetto di corrispondenza ordinaria anche i messaggi di posta elettronica, le conversazioni nelle chat (email, messanger, skype etc.), e gli sms.
Il diritto alla riservatezza è un diritto fondamentale della persona tutelato dalla Costituzione, si tratta, in sostanza, di un diritto non comprimibile o limitabile, neanche in un rapporto coniugale o di convivenza: in altre parole, il matrimonio o la convivenza more uxorio non valgono ad escludere il rispetto della privacy dei componenti la coppia.
E’ indispensabile però distinguere tra il fatto che una determinata condotta sia lesiva della privacy altrui e dunque passibile di querela e la possibilità per il partner “tradito” di impiegare nel giudizio di separazione le prove dell’infedeltà, raccolte in violazione del diritto alla riservatezza (regime dell’ammissibilità probatoria).
Infatti, la presentazione di copie di email, chat private, sms scambiati dal consorte con l’amante, contenenti la prova dell’infedeltà coniugale, potrà essere tollerata dal Giudice civile nel corso del processo di separazione, ferma restando, però, la possibilità per il coniuge, che si reputi danneggiato nella propria riservatezza, di sporgere denuncia-querela in sede penale.
In altre parole, in sede processuale è rimessa al Giudice la valutazione circa l’ammissibilità o meno della prova acquisita in violazione del diritto alla privacy del coniuge, infatti il Testo Unico sulla Privacy (D.l. 196/2003), pur prevedendo l’obbligo del preventivo consenso dell’interessato alla trattazione dei suoi dati personali, ne consente una deroga proprio quando questi ultimi debbano essere impiegati per far valere un determinato diritto avanti all’Autorità Giudiziaria.
E se le prove dell’adulterio sono contenute nel proprio profilo Facebook? Anche le informazioni contenute in quest’ultimo sono coperte dalla tutela sulla privacy e quindi sono estromettibili dal Giudice nel processo di separazione?
La recentissima pronuncia del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, del 13/06/2013, sembra ritenere di no e cioè che tutto ciò che viene inserito dall’utente sul proprio profilo Facebook sia ampiamente utilizzabile in giudizio e non sia coperto dalla tutela garantita dal D.l. 196/2003: il provvedimento dei giudici campani specifica, infatti, che anche se l’accesso al contenuto delle informazioni inserite da un soggetto nel proprio profilo è regolato dalle impostazioni sulla privacy scelte dall’utente, tutte le informazioni e le fotografie pubblicate da quest’ultimo non sono assistite dalla segretezza, che caratterizza invece quelle contenute nei messaggi scambiati utilizzando il servizio di messaggistica o di chat.
Infatti, solo queste ultime possono essere assimilate a forme di corrispondenza privata e ricevere la massima tutela sotto il profilo della loro divulgazione, mentre quelle pubblicate sul proprio profilo Facebook, in quanto già dì per sé destinate ad essere conosciute da terzi, anche se rientranti nella cerchia delle c.d. “amicizie” del social network, non possono ritenersi assistite da tale protezione.
In altri termini, nel momento in cui si pubblicano informazioni, foto o commenti sulla pagina dedicata al proprio profilo Facebook, si accetta il rischio che le stesse possano essere portate a conoscenza anche di terze persone non rientranti nell’ambito delle c.d “amicizie”: il che le rende, per il solo fatto della loro pubblicazione, conoscibili ai terzi, utilizzabili in sede giudiziaria e non tutelabili ai sensi dell’art. 616 c.p.
Quindi, è necessario valutare attentamente il tipo di informazioni da inserire nei propri profili Facebook, almeno fintanto che la Cassazione non indichi una linea guida in materia di tutela della privacy, social network ed utilizzabilità, nel giudizio di separazione, dei dati acquisiti da quest’ultimi.
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