Gli accordi tra i coniugi precedenti, contemporanei o successivi alla separazione o al divorzio sono validi anche se non sono omologati dal giudice

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IL FATTO

La controversia riguarda due coniugi, che nel corso del giudizio di appello della separazione addivengono ad una transazione, abbandonando di conseguenza il procedimento instaurato avanti alla Corte di Appello territoriale.

L’accordo transattivo in questione prevedeva una serie di attribuzioni patrimoniali che le parti si erano fatte reciprocamente, in parziale modifica di quanto stabilito dal giudice di primo grado con la sentenza di separazione personale dei coniugi.

A seguito del mancato adempimento, da parte del marito, a quanto stabilito con l’accordo transattivo, la moglie adiva l’autorità giudiziaria al fine di ottenerne la risoluzione per grave inadempimento, domanda alla quale il marito si opponeva, chiedendo a sua volta il riconoscimento e la pronuncia della proprietà esclusiva dei beni oggetto del contratto transattivo.

Il Tribunale adito accoglieva la domanda attorea, dichiarando la risoluzione della transazione per grave inadempimento imputabile esclusivamente al convenuto. La decisione veniva riformata in appello, con sentenza che dichiarava inammissibile la domanda di risoluzione dell’accordo transattivo proposta dalla moglie. Secondo la Corte d’Appello territoriale, difatti, non può ritenersi valido l’accordo di separazione, trasfuso in un atto avente natura transattiva, qualora non sia stato sottoposto al giudice per l’omologazione. Nel caso di specie, le parti, infatti, a seguito del raggiungimento dell’intesa transattiva avevano abbandonato il giudizio di secondo grado, che si era pertanto estinto per inattività delle parti, determinando il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Da ciò ne derivava la preclusione della domanda di risoluzione del contratto transattivo.

LA PRONUNCIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Di diverso avviso la sentenza del 3 dicembre 2015 n. 24621 pronunciata dalla terza sezione della Corte di Cassazione, secondo la quale sono invece validi gli accordi dei coniugi volti a regolamentare questioni di carattere patrimoniale o personale degli stessi, sebbene non sottoposti ad omologa da parte del giudice.

Secondo la Suprema Corte è infatti possibile individuare nell’accordo raggiunto tra le parti in sede di separazione e di divorzio un contenuto necessario, attinente agli aspetti dell’affidamento dei figli minori, al regime di frequentazione dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all’assegnazione della casa coniugale e alla misura e modo di contribuzione al mantenimento del coniuge economicamente più debole, da un contenuto eventuale che riguardi la regolamentazione di ogni altra questione di carattere patrimoniale o personale tra i coniugi stessi.

Nell’ottica del riconoscimento ai privati di una sempre maggiore autonomia negoziale e di una  vera e propria logica contrattuale, si è giunti ad ammettere la validità dei patti extragiudiziali conclusi tra i coniugi relativi non solo al contenuto c.d. disponibile e/o eventuale dell’accordo di separazione e divorzio, ma anche a quello necessario, con qualche cautela per tutelare i minori o i soggetti più deboli.

A titolo esemplificativo, la giurisprudenza ritiene valida, tra le parti e nei confronti dei terzi, la clausola di trasferimento di immobile tra i coniugi contenuta nei verbali di separazione o recepita dalla sentenza di divorzio congiunto, o convenuta sulla base di conclusioni uniformi, essendo soddisfatta l’esigenza della forma scritta (Cass. 11 novembre 1992, n.12110, Cass. n. 2263 del 2014), così come il trasferimento o la promessa di trasferimento di immobili, mobili o somme di denaro, quale adempimento dell’obbligazione di mantenimento da parte di un coniuge nei confronti dell’altro (tra le altre, Cass. 17 giugno 1992 n. 7470).

Spesso accade che tali accordi siano addirittura anteriori, contemporanei o magari successivi alla separazione o al divorzio, nella forma della scrittura privata o dell’atto pubblico. Detti accordi, aventi natura negoziale (Cass. n. 18066/2014; Cass. n. 19304/2013; Cass. n. 23713/2012), si ritengono validi, anche nel rapporto con i figli, qualora siano migliorativi dell’assetto concordato davanti al giudice (tra le altre, Cass. n. 657/1994; Cass. n. 23801/2006). Ai predetti accordi sono, pertanto, applicabili alcuni principi generali dell’ordinamento come quelli attinenti alla nullità dell’atto o alla capacità delle parti, ed anche alcuni più specifici (ad es. relativi ai vizi di volontà).

Per tali ragioni è errato ritenere che le parti non possano validamente regolamentare interessi di carattere patrimoniale nelle more del giudizio di separazione, al fine di addivenire ad una composizione bonaria della relativa controversia. Di conseguenza l’accordo transattivo concluso nel corso del giudizio stesso, in seguito abbandonato dai coniugi, deve ritenersi valido ed efficace, così come i trasferimenti di proprietà e le attribuzioni patrimoniali con esso disposte.

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