I criteri per accertare quando si estingue per il genitore l’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente
La spinosa e dibattuta questione circa la sussistenza o meno in capo al figlio maggiorenne del diritto al mantenimento è ancora di estrema attualità, nonostante la giurisprudenza, anche di legittimità, abbia avuto modo di esprimersi sul tema in innumerevoli occasioni.
Facciamo dunque un po’ di chiarezza!
Il dovere di mantenere i figli è sancito a livello costituzionale dall’art. 30, dagli artt. 147 e ss. c.c., nonché, indirettamente, dall’art. 315 bis, comma 1, c.c..
La normativa prescrive ed impone ad entrambi i genitori l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Il nostro legislatore, con la L. n. 54/2006 recante “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento”, all’art. 155 quinquies c.c., aveva espressamente statuito che “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico”.
Tuttavia, tale norma è stata abrogata dal D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 che ha, contestualmente, introdotto l’art. 337 septies c.c., con il quale è stato stabilito che “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto…”.
Oggi è dunque pacifico che l’obbligo di mantenimento non cessa solo per via del raggiungimento della maggiore età del figlio e che, anzi, tale obbligo perdura fino a quando la prole non raggiunga la piena e completa indipendenza economica.
Tuttavia, la giurisprudenza è altrettanto conforme nel ritenere che, allorché venisse accertata una ingiustificata inoperosità ed inerzia da parte del figlio beneficiario del mantenimento, lo stesso ben potrà vedersi revocare dal Giudice l’assegno mensile.
Recentemente, il Tribunale civile di Treviso, con la sentenza n. 1445/2015, si è pronunciato sul caso di un padre che, in sede di divorzio, pretendeva la cessazione totale dell’obbligo di versare l’assegno di mantenimento nei confronti del figlio più piccolo, il quale, medio tempore, era diventato maggiorenne e, a suo dire, economicamente autosufficiente avendo reperito un’occupazione lavorativa come aiuto cuoco.
Invero, il Tribunale ha accertato che, nonostante il ragazzo avesse concluso gli studi alberghieri e reperito effettivamente un lavoro da aiuto cuoco, lo stipendio da lui percepito mensilmente (€ 600,00) non avrebbe in alcun modo potuto garantirgli la completa autosufficienza economica.
Il Tribunale trevigiano, sulla scorta della granitica giurisprudenza sul tema, ha riscontrato che lo svolgimento di un’attività lavorativa da parte del figlio maggiorenne, allorché la stessa non sia costante né certa e non garantisca l’autosufficienza economica, non consente la totale eliminazione del contributo al mantenimento, potendo tuttalpiù giustificarne solo la riduzione.
Ma non è tutto!
Il Tribunale ha stabilito, altresì, che l’assegno di mantenimento, seppur quantitativamente ridotto, deve continuare ad essere versato direttamente alla madre, con la quale il ragazzo vive e che tutt’ora contribuisce al suo sostentamento.
L’orientamento del Tribunale civile di Treviso in materia di mantenimento dei figli maggiorenni si conforma, dunque, ai più recenti approdi giurisprudenziali sul tema.
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