I nipoti hanno diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali per la perdita del nonno anche se non convivente
La convivenza, di per sé, non costituisce un presupposto fondamentale per riconoscere o meno il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale in capo ai superstiti, ma rappresenta, insieme ad altri dati, un elemento di prova capace di dimostrare: l’esistenza del rapporto sentimentale leso e lo spessore del quantum debeatur. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, sez. III, con sentenza n. 21230/16 del 20/10/16, nell’ambito di un ricorso per impugnazione della decisione della Corte di Appello che respingeva, conformemente a quanto statuito in primo grado, la domanda di risarcimento iure proprio, per danno da perdita parentale, formulata da alcuni nipoti in seguito al decesso della loro nonna, avvenuto per un sinistro stradale cagionato da un fatto illecito altrui.
In particolare, i ricorrenti contestavano la decisione di secondo grado e il principio di diritto su cui si fondava, avallato da un precedente pronunciamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. 160312 n. 4253) che poneva come prerequisito imprescindibile – ai fini della risarcibilità del danno – proprio la condizione di stabile convivenza tra soggetto istante e vittima primaria.
La Cassazione – con tale pronuncia – ha capovolto l’indirizzo precedente che riteneva la convivenza un presupposto essenziale per il riconoscimento del danno. Tale previsione era dettata dall’esigenza di evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati secondari; tuttavia, i giudici di legittimità hanno ritenuto possibile provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, anche se non convivente.
La Corte ha ritenuto da un lato condivisibile l’esigenza di evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati “secondari”, tuttavia non è accettabile che il mero elemento della convivenza diventi il discrimine tra la risarcibilità e la non risarcibilità del danno subito dalle cosiddette vittime riflesse del sinistro, da cui è derivato il decesso della vittima principale. Possono esistere, difatti, convivenze non basate su vincoli affettivi, ma solo su contingenze strumentali o egoistiche così come – per contro – possono sussistere rapporti caratterizzati da un alto tasso di densità emotiva e di corrispondenza psicologica tra soggetti i quali, pure, non convivono sotto lo stesso tetto.
Senza contare che la stessa Corte di Cassazione ha più volte ribadito la risarcibilità del danno non patrimoniale a favore del coniuge legalmente separato, allorquando si accerti l’effettiva presenza di quel dolore e di quelle sofferenze morali che inevitabilmente accompagnano la morte di una persona cara (Cass. 17/01/2013, n. 1025), e ha pure precisato che lo status di separato non è in astratto incompatibile con la posizione di danneggiato secondario (Cass. 12/11/2013, n. 25415).
In conclusione, il nuovo arresto giurisprudenziale ravvisa, pertanto, nella convivenza soltanto un parametro utile per dimostrare l’ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega la vittima e i parenti sopravvissuti, oltre a determinarne il quantum debeatur, ma non costituisce un limite al riconoscimento del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti dei prossimi congiunti.
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