Il contratto di convivenza: uno strumento che consente di disciplinare i rapporti patrimoniali e personali tra i conviventi in caso di separazione anche in presenza di figli minori

  1. Home
  2. Diritto di Famiglia
  3. Il contratto di convivenza: uno strumento che consente di disciplinare i rapporti patrimoniali e personali tra i conviventi in caso di separazione anche in presenza di figli minori

I contratti di convivenza, introdotti con la recente legge sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto del 20/05/2016 n. 76 (legge Cirinnà), consistono in accordi con cui la coppia definisce le regole della propria convivenza, regolamentando i rapporti patrimoniali ed alcuni aspetti dei rapporti personali (ad es. la designazione dell’amministratore di sostegno).

 L’accordo può essere usato anche per disciplinare le conseguenze patrimoniali della cessazione della convivenza. I conviventi di fatto possono, pertanto, affidare ad un contratto, appositamente stipulato, la regolamentazione degli aspetti economici del loro menage; si tratta, beninteso, di una opportunità e non di un dovere, in quanto i conviventi hanno la facoltà di regolamentare il loro rapporto anche in assenza di un contratto di convivenza.

Possono essere stipulati da tutte le persone che, legate da vincolo affettivo, decidono di vivere insieme stabilmente (c.d. convivenza more uxorio). Più precisamente, ci si riferisce all’unione di vita stabile tra due persone legate da affetto che decidono di vivere insieme al di fuori del legame matrimoniale o perché è loro preclusa la possibilità di sposarsi (ad esempio, due conviventi dello stesso sesso) o perché è loro precisa volontà quella di non contrarre il vincolo matrimoniale.

Per la stipula del contratto di convivenza, la legge prescrive la forma scritta a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato, i quali devono attestarne la conformità alle norme e all’ordine pubblico.

Per rendere il contratto opponibile ai terzi, (e cioè al fine di pretendere appunto che i terzi debbano considerare comuni tra i conviventi gli acquisti da costoro compiuti durante la convivenza, ove abbiano optato per il regime di comunione) il notaio o l’avvocato che hanno autenticato l’atto, devono trasmetterne una copia al Comune di residenza dei conviventi, al fine dell’iscrizione nei registri dell’anagrafe, nei quali è registrata la convivenza.

In sostanza, questo sistema pubblicitario è preordinato a consentire a chiunque di verificare se tra due determinati soggetti esista una situazione di convivenza registrata e come questa convivenza sia stata eventualmente regolamentata sotto il profilo patrimoniale; in questo campo non si pongono questioni di privacy, in quanto vi è l’esigenza esattamente contraria e cioè di consentire che chi ne sia interessato possa compiere tutti gli accertamenti che gli occorrono.

È possibile disciplinare i diversi aspetti patrimoniali che riguardano:

1) le modalità di partecipazione alle spese comuni e quindi la definizione degli obblighi di contribuzione reciproca nelle spese comuni o nell’attività lavorativa domestica ed extradomestica;

2) i criteri di attribuzione della proprietà dei beni acquistati nel corso della convivenza (potendo addirittura definire un sorta di regime di comunione o separazione);

3) le modalità di uso della casa adibita a residenza comune (sia essa di proprietà di uno solo dei conviventi o di entrambi i conviventi ovvero sia in affitto);

4) le modalità per la definizione dei reciproci rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza al fine di evitare, nel momento della rottura, discussioni e rivendicazioni;

5) la facoltà di assistenza reciproca, in tutti i casi di malattia fisica o psichica (o qualora la capacità di intendere e di volere di una delle parti risulti comunque compromessa), o la designazione reciproca ad amministratore di sostegno.

Dal contratto di convivenza nascono dei veri e propri obblighi giuridici a carico delle parti che lo hanno sottoscritto. Pertanto la violazione di taluno degli obblighi assunti con il contratto di convivenza legittima l’altra parte a rivolgersi al giudice per ottenere quanto le spetta. La durata “naturale” del contratto di convivenza coincide con la durata del rapporto di convivenza. E’ logico quindi subordinare gli effetti del contratto alla permanenza del rapporto di convivenza.

Ciò non toglie che vi siano alcuni accordi destinati a produrre i loro effetti proprio a partire dalla cessazione del rapporto di convivenza: si pensi a tutti gli accordi che fissano le modalità per la definizione dei reciproci rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza. Se nel contratto sono contenuti anche accordi di questo tipo, alla cessazione del rapporto di convivenza, il contratto continuerà a trovare applicazione proprio per disciplinare la fase di definizione dei rapporti patrimoniali e la divisione dei beni comuni.

Sono ritenute ammissibili clausole volte alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali inerenti il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli, posto che incombe su entrambi i genitori l’ obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole. Si tratterebbe, comunque, di clausole sempre suscettibili di essere revocate e modificate se ciò fosse richiesto al fine di perseguire l’interesse dei figli (da considerarsi sempre preminente rispetto all’interesse dei conviventi al rispetto degli accordi tra gli stessi intervenuti).

Le parti possono riservarsi, con apposite clausole inserite nel contratto di convivenza, la facoltà di recesso. L’esercizio della facoltà di recesso potrà, a seconda di quanto pattuito dalle parti:

  1. a) essere totalmente libero, ovvero essere subordinato al verificarsi di determinati eventi o condizioni;
  2. b) essere gratuito o essere subordinato al pagamento, all’altra parte, di un corrispettivo (multa penitenziale).
Menu