Il genitore che rifiuta ingiustificatamente di sottoporre i figli a cure tradizionali e ai vaccini può essere escluso dall’affidamento condiviso dei minori per quanto riguarda le decisioni inerenti la salute e l’alimentazione degli stessi
La Cassazione conferma il provvedimento adottato dalla Corte di Appello di Trento, che ha escluso la madre dal regime di affidamento condiviso dei figli in relazione alle decisioni attinenti la salute e l’alimentazione degli stessi, attribuite in via esclusiva al solo padre, presso il quale vengono altresì collocati i figli. Tale decisione trova il suo fondamento nel rifiuto ingiustificato opposto dalla donna a sottoporre i figli alle cure tradizionali ed ai vaccini, prediligendo trattamenti omeopatici e rigida regolamentazione del regime dietetico.
L’individuazione del genitore collocatario, spiega il Collegio, deve avvenire all’esito di un giudizio prognostico che il giudice compie nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole in merito alle capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione.
Deve all’uopo tenersi conto di elementi concreti, del modo in cui il padre e la madre hanno in precedenza svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità a un assiduo rapporto, nonché della personalità di ciascun genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore.
Nel caso di specie, gli accertamenti peritali effettuati nel corso del giudizio di primo grado hanno esaminato entrambi i genitori nei rapporti tra loro e con i figli e hanno individuato la soluzione più tutelante per i minori nella collocazione presso il padre, poiché la madre aveva dimostrato di non essere ancora in grado di assumere i comportamenti più adeguati nei confronti dei minori se non dietro suggerimento e indicazioni del consulente.
La Suprema Corte rigetta altresì il gravame proposto dalla signora con riferimento alla denuncia di mancata audizione dei figli minori, nonostante la richiesta espressa avanzata dalla difesa, sostenendo che gli stessi erano stati riconosciuti capaci di discernimento da parte del consulente tecnico che li aveva esaminati. Nella motivazione della sentenza la Corte osserva, a tal riguardo, come le disposizioni normative conferiscano al giudice un potere discrezionale di disporre l’ascolto di minori infra-dodicenni, anche al fine di verificarne la capacità di discernimento, senza tuttavia imporgli di motivare sulle ragioni dell’omessa audizione, salvo che la parte abbia presentato una specifica istanza indicando gli argomenti ed i temi di approfondimento sui quali ritenga necessario l’ascolto del minore. Dunque l’audizione del minore infra-dodicenne capace di discernimento costituisce adempimento previsto a pena di nullità ove si assumano provvedimenti che lo riguardino, salvo che il giudice non ritenga, con specifica e circostanziata motivazione, l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore (cfr. Cass. Civ. n. 19327/2015).
Nel caso di specie, la Corte territoriale con motivazione confermata in Cassazione aveva escluso di procedere all’audizione dei minori, i quali all’epoca avevano un’età ben distante da quella che fa presumere la sussistenza di una capacità di discernimento (dato che avevano rispettivamente sei e quattro anni di età), di conseguenza non vi era alcun obbligo di audizione e tale incombente risultava del tutto inutile, perché i figli della coppia erano già stati sentiti dal consulente d’ufficio sulle questioni riguardanti il loro affidamento e non vi erano stati mutamenti che giustificassero ulteriori interventi peritali.
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