Il genitore che tenta di sottrarre la decisione della causa al giudice preventivamente adito può essere condannato per responsabilità processuale aggravata
Con decreto emesso in data 09/03/2017 il Tribunale di Milano condannava per lite temeraria un genitore che aveva proposto una nuova causa davanti al Tribunale ordinario, al fine esclusivo di eludere la competenza del tribunale dei minori previamente adito.
Per il Tribunale Meneghino, infatti, il Tribunale per i minorenni resta competente a conoscere della domanda diretta ad ottenere la declaratoria di decadenza o di limitazione della responsabilità genitoriale ancorché, nel corso del giudizio, sia stata proposta, innanzi al Tribunale Ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, nel rispetto del principio della “perpetuatio iurisdictionis” di cui all’art. 5 del c.p.c.. Inoltre, qualora il processo minorile sia in avanzata fase istruttoria (nel caso di specie era stata espletata anche una CTU), la nuova causa configura una c.d. “azione da disturbo”, che realizza un uso distorto dello strumento processuale, tale da giustificare la sanzione ex art. 96, III comma, c.p.c. per lite temeraria.
Il caso riguardava il padre di una minore, che aveva instaurato, nel maggio del 2015, davanti al Tribunale dei Minorenni di Milano, un giudizio ex art. 330/333 del c.c., per la pronuncia della decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale nei confronti della figlia minore, procedimento che si trovava in avanzata fase istruttoria, avendo il Tribunale dei Minorenni già adottato un decreto provvisorio, in parte limitativo della responsabilità genitoriale, ed incaricato i Servizi Sociali di svolgere indagini sul conto dei genitori e della bambina, oltre ad aver disposto un accertamento tecnico d’ufficio, con deposito previsto a breve della relazione peritale. Mentre era in corso lo svolgimento dell’attività istruttoria, la madre promuoveva un nuovo giudizio davanti al Tribunale di Milano, con il quale chiedeva che fosse il Tribunale Ordinario a definire gli aspetti qualificanti dei rapporti giuridici tra la stessa, l’ex compagno e la loro bambina. Per il giudice, però, la domanda successivamente proposta non può in alcun modo far venir meno la competenza dell’Ufficio minorile correttamente adito per primo e deve qualificarsi come “un’azione di disturbo”.
Secondo l’orientamento consolidato della Suprema Corte di Cassazione, i criteri di interpretazione dell’art. 38 disp. di attuazione del c.c., individuati ai fini del riparto di competenza tra Tribunale dei Minorenni e Tribunale Ordinario, sono in via principale, il criterio della prevenzione e del conseguente principio della perpetuatio iurisdictionis, oltre che il criterio della concentrazione delle tutele nell’interesse del minore e della valorizzazione di tutta l’attività istruttoria svolta avanti all’Autorità Giudiziaria preventivamente adita (cfr. Cass. Civ. Sez. VI-I n. 1349/2015, n. 432/2016 e n. 17931/2016). La deroga alla competenza del Tribunale dei Minorenni per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., sancita in via generale dall’art. 38 disp. att. c.c., in favore della competenza del Tribunale Ordinario, nell’ambito dei giudizi c.d. del conflitto familiare (separazione, divorzio, 316 c.c. e procedimenti di revisione), presuppone che tali ultimi giudizi siano “pendenti”, non potendo, in caso contrario, derogarsi al principio della perpetuatio iurisdictionis.
La pronuncia del Tribunale di Milano individuava, infine, profili di temerarietà nell’iniziativa processuale della ricorrente, per una colposa valutazione dei presupposti necessari all’esperimento dell’azione promossa, alla luce della giurisprudenza ormai chiara e costante della Suprema Corte, apparendo inoltre l’azione, anche in relazione alla tempistica in cui è stata promossa (cioè ad oltre un anno dall’inizio del procedimento pendente avanti al Tribunale dei Minorenni e mentre era in corso una consulenza tecnica il cui andamento ed esito era forse poco condiviso), del tutto strumentale e finalizzata ad un uso distorto dello strumento processuale, con conseguente condanna ex art. 96, III comma, c.p.c. per responsabilità processuale aggravata.
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