Il reato di maltrattamenti in famiglia: per la Suprema Corte di Cassazione il reato sussiste anche in caso di convivenza di fatto dimostrata dalla dichiarazione anagrafica ai sensi della l. 76/2016

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La dichiarazione anagrafica effettuata dalla coppia innanzi all’ufficiale del Comune di residenza, presenta una sicura valenza probatoria ai fini dell’accertamento dell’instaurazione della convivenza di fatto, ai sensi della Legge n. 76/2016 (sulla regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze).

Tale circostanza si ritiene, pertanto, sufficiente a dimostrare la sussistenza della relazione e a far scattare il reato di maltrattamenti in caso di vessazioni e abusi commessi dal partner che ha reso la dichiarazione, sia nelle relazioni etero che in quelle omosessuali.

A stabilirlo la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 56673/2018 respingendo il ricorso di un uomo condannato per maltrattamenti e ripetute violenze sessuali commessi ai danni della propria convivente.

L’imputato si era difeso contestando la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. ed evidenziando come tale fattispecie dovesse ritenersi integrata qualora la condotta illecita si fosse consumata all’interno di una comunità consolidata nella quale si realizza un affidamento di natura precettiva o di accadimento con carattere di tendenziale stabilità. L’uomo precisava, altresì, che la sua relazione con la vittima non era nulla di più di un legame sentimentale privo tuttavia del carattere di progettualità, solidarietà e assistenza che caratterizza la convivenza more uxorio.

La Cassazione – aderendo alle conclusioni della Corte territoriale – ha, invece, evidenziato il carattere stabile del rapporto di convivenza intercorso tra l’imputato e la vittima, desumendolo da un duplice dato fattuale: da un lato, la denuncia resa all’Ufficio dell’Anagrafe del Comune di residenza dell’uomo e, dall’altro, dalla definitiva interruzione da parte della donna dei propri rapporti con il marito.

La donna si era trasferita dalla città di residenza (Palermo) alla casa del compagno a Milano non appena era stata dimessa dall’ospedale a seguito di un intervento chirurgico, nel corso della cui degenza era stata costantemente assistita dallo stesso imputato.

Tali fatti mettono chiaramente in luce l’elemento intenzionale, che si pone alla base del rapporto di convivenza di fatto ritenuto dal legislatore meritevole della particolare tutela apprestata in sede penale.

Sebbene costituisca una semplice variazione anagrafica, priva di qualunque formalità, la dichiarazione rilasciata all’Anagrafe del Comune di residenza del soggetto presso il quale si è instaurata la convivenza costituisce il presupposto per l’accertamento della stabile convivenza, come espressamente disposto dal comma 37 dell’unico articolo di cui si compone la citata novella.

Il meccanismo costitutivo della convivenza si fonda, infatti, su una dichiarazione rimessa all’iniziativa degli stessi componenti della coppia e scevra da alcun controllo formale sulla sussistenza dei requisiti di cui al comma 36, rilasciata all’Anagrafe del Comune di residenza del soggetto presso il quale si è instaurata la convivenza, che trattandosi di una variazione presuppone la coabitazione tra i due dichiaranti, ancorché non prevista tra i presupposti costitutivi della fattispecie di cui al comma 36: la conseguente certificazione anagrafica è quindi sufficiente a dimostrare, ad ogni effetto di legge, la sussistenza del rapporto di convivenza, per il riconoscimento al convivente dei diritti discendenti dalla stessa L. n. 76/2016.

Spetterà, dunque, all’imputato che contesta la sussistenza del legame fattuale caratterizzato dalla stabilità e dalla mutua solidarietà e perciò tutelato dall’ordinamento fornire la prova contraria.

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