Il toccante cortometraggio “Mamma non vuole” sul tema della sindrome da alienazione genitoriale: come riconoscerla e come porvi rimedio in caso di conflitti familiari nell’ambito di separazioni e divorzi
“Mamma non vuole” è un cortometraggio del 2016 diretto da Antonio Pisu che tratta della controversa sindrome da alienazione genitoriale (o anche detta PAS, dall’acronimo di Parental Alienation Syndrome) nell’ambito di una separazione conflittuale. Il cortometraggio è tratto da una storia vera, quella di un padre al quale non è permesso vedere il figlio da 6 anni e mezzo.
Ma che cosa si intende per sindrome da alienazione genitoriale? Esiste davvero e come ci si può difendere?
Si tratta di una situazione gravemente pregiudizievole che può colpire i figli minori della coppia nella fase di disgregazione del vincolo familiare, che viene assimilata allo stalking, consistendo in un vero e proprio atteggiamento persecutorio, in cui la volontà di nuocere all’ex partner include tra le sue modalità anche la manipolazione dei figli con gravi ripercussioni nei rapporti tra questi ultimi ed il genitore preso di mira c.d. genitore bersaglio.
La caratteristica principale di questa importantissima sindrome, detta PAS, viene individuata nella c.d. campagna di indottrinamento posta in essere da parte di un genitore, al fine di allontanare l’altro genitore dai figli, realizzata attraverso strategie e comportamenti tali da impedire ogni possibilità per quest’ultimo di conservare un rapporto con i figli, giungendo persino a denigrarne la figura genitoriale. Primo segnale che consente di individuare tale sindrome è rappresentato proprio dalla costante attività di denigrazione, che inizia spesso con l’impedimento delle visite e la colpevolizzazione dell’altro genitore, al quale viene attribuita ogni responsabilità per la distruzione dell’unione familiare. Altro elemento fondamentale, che deve coesistere al primo, affinché possa parlarsi di sindrome da alienazione parentale consiste nell’allineamento del minore con il genitore alienante, ovvero il suo contributo all’indottrinamento del genitore ”alienante” contro il genitore ”alienato”. Successivamente si assiste ad un allargamento della denigrazione e delle ostilità anche nei confronti della famiglia del genitore bersaglio (nonni, zii, ecc..), per concludere con la strumentalizzazione del minore da parte del genitore alienante anche in campo legale, al fine di ottenere provvedimenti a sé favorevoli e volti unicamente a distruggere l’altro partner estromettendolo dal rapporto con il figlio.
Le tecniche utilizzate dal genitore “alienante” comprendono spesso l’uso di espressioni denigratorie riferite all’altro genitore, false accuse di trascuratezza nei confronti del figlio, violenza o abuso (nei casi peggiori, anche abuso sessuale), la costruzione di una “realtà virtuale familiare” di terrore e vessazione che genererebbe, nei figli, profondi sentimenti di paura, diffidenza e odio verso il genitore “alienato”. I figli, quindi, si alleerebbero con il genitore “sofferente”; si mostrerebbero come contagiati da tale sofferenza e inizierebbero ad appoggiare la visione del genitore “alienante”, mostrando ― in modo apparentemente autonomo ― astio, disprezzo e denigrazione verso il genitore “alienato”.
Perché si possa parlare di PAS è necessario tuttavia che detti sentimenti di astio, disprezzo o rifiuto non siano giustificati, giustificabili, o rintracciabili in reali mancanze, trascuratezze o addirittura violenze del genitore “alienato”.
Sebbene la sindrome da alienazione parentale non sia riconosciuta a livello scientifico come una vera e propria patologia, nella maggior parte dei paesi europei si è accertato che tale situazione sfocia spesso nella psicopatologia: i bimbi alienati, che si trovano a vivere in situazioni di forte tensione, soffrono più spesso dei coetanei, in tenera età, di regressione, ansia, paura immotivata del genitore bersaglio e, se più grandi, scarso rendimento scolastico fino all’abbandono degli studi, di sindromi ansioso-depressive. Talora manifestazioni di tipo psichiatrico: schizofrenia, psicosi paranoide, suicidio, tossicodipendenza, alcolismo.
In questi casi è necessario proteggere i bambini allontanandoli dal genitore alienante, affidandoli al genitore alienato, se risulta genitore adeguato, capace di non coinvolgere i bambini nella conflittualità o comunque limitare la frequentazione del genitore alienante. Come teorizzava Gardner e come ritroviamo, ancora oggi, suggerito da molti autorevoli psicologi, i rimedi contro l’alienazione parentale – quando questa è conclamata o sta per deflagrare – dovrebbero passare attraverso l’allontanamento temporaneo del figlio dal genitore alienante; e ciò non per punire il genitore alienante, ma per favorire una presa di distanza del figlio dai messaggi e dai comportamenti condizionanti di detto genitore; salvo ripristinare i rapporti con l’alienante dopo che il percorso psicoterapeutico da intraprendere e il “disinquinamento ambientale” abbiano prodotto effetti benefici.
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