Il trasferimento abitativo di un genitore insieme al figlio minore con conseguente modifica della residenza non preclude il collocamento prevalente del figlio in caso di separazione dei genitori
Con la sentenza n. 18087 del 14/09/2016 la Suprema Corte di Cassazione ribadisce il principio in base al quale lo stabilimento ed il trasferimento della propria residenza e sede lavorativa costituiscono oggetto di libera opzione dell’individuo, espressione di diritti fondamentali di rango costituzionale.
Il genitore separato che intenda trasferire la sua residenza lontano da quella dell’altro coniuge, non perde, pertanto, l’idoneità ad avere in affidamento i figli minori o ad esserne collocatario, sicché il giudice, ove il primo aspetto non sia in discussione, deve esclusivamente valutare se sia più funzionale all’interesse della prole il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori, per quanto ciò incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario.
Il caso riguarda una coppia che si era separata consensualmente, con previsione di affido condiviso dei figli minori di tre e cinque anni di età e collocazione paritaria presso le rispettive abitazioni. Trascorso poco più di un anno la moglie chiedeva la modifica delle condizioni omologate, domandando il collocamento presso di sé dei bambini, in ragione della loro tenera età e del disagio sofferto per il continuo pendolarismo tra le abitazioni dei genitori.
Nelle more, la donna inoltre aveva accettato un trasferimento lavorativo in altra sede molto lontana dalla residenza paterna. Il Tribunale, disponeva una CTU dalla quale emergeva che il genitore presso il quale era più opportuno collocare in via prevalente i bambini era il padre. Il Tribunale, accogliendo le richieste del padre, disponeva la collocazione dei bambini presso di lui. Contro il decreto, la donna proponeva reclamo presso la Corte d’Appello competente, la quale accoglieva nel merito le richieste della madre.
La Corte ha ritenuto, difatti, che non sussista alcun valido motivo per distaccarsi dal criterio che preferisce la madre quale genitore presso cui i figli in età prescolare o scolare devono convivere in via prevalente. Dalla CTU non emergeva, infatti, un’incapacità genitoriale della madre, ma corrispondeva all’interesse dei minori la scelta materna di una sede di lavoro nel luogo in cui risiedeva la sorella con i suoi figli, così da poter usufruire del suo aiuto, essere inserita nel suo giro di amicizie e consentire che i cugini crescessero assieme. Anche il padre, inoltre, sarebbe stato trasferito in altra sede, per cui il radicamento nel luogo dell’originaria casa paterna si sarebbe interrotto in ogni caso. Infine, i minori non avevano parenti in quella città.
Secondo la Cassazione, la sentenza d’appello aveva giustamente richiamato una precedente sentenza della stessa Corte (Cass. Civ. n. 9633/2015).
In base a questa pronuncia, nel giudizio per stabilire l’affidamento e il collocamento dei figli di una coppia di coniugi separati, il giudice non ha il potere d’imporre all’uno o all’altro dei coniugi di rinunciare a un programmato trasferimento, che corrisponde a un diritto fondamentale costituzionalmente garantito.
Nessuna norma, inoltre, impone di privare il coniuge che intenda trasferirsi, per questo solo fatto, dell’affido o del collocamento dei figli presso di sé.
Di fronte alle scelte insindacabili sulla propria residenza compiute dei coniugi separati, i quali non perdono, per il solo fatto che intendono trasferire la propria residenza lontano da quella dell’altro coniuge, l’idoneità a essere collocatari dei figli minori, il giudice ha esclusivamente il dovere di valutare se sia più funzionale al preminente interesse dei figli il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori, anche se ciò incide negativamente sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario.
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