In caso di dissenso dell’atro genitore è possibile instaurare un procedimento civile per ottenere il riconoscimento del figlio i cui diritti comunque vengono riconosciuti dal momento della nascita

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Il genitore che vuole riconoscere il figlio, anche in assenza del consenso dell’altro genitore che vi si oppone, può ricorrere al giudice competente – ai sensi dell’art. 250, IV comma, del c.c. (come modificato dalla novella legislativa del d. lgs. n. 219/2012) e chiedere che venga pronunciata una sentenza che tiene luogo del consenso mancante del genitore che per primo ha riconosciuto il figlio, disponendo direttamente in ordine all’affidamento e mantenimento del minore, ai sensi dell’art. 315 bis c.c., ed al suo cognome ai sensi dell’art. 262 c.c..

Non è necessario il successivo atto di riconoscimento per il sorgere dei diritti del figlio e per la regolamentazione della responsabilità genitoriale.

Questo quanto deciso dal Tribunale di Prato, con l’emissione di sentenza che tiene luogo del consenso mancante al riconoscimento del minore, con la quale ha ritenuto conforme ai principi di diritto contenuti nelle leggi nazionali e internazionali, la decisione contestuale sull’affidamento e il mantenimento (vedi Trib. di Prato sent. n. 652 del 27/07/2017).

Il caso riguarda una coppia che aveva avuto una fugace e burrascosa relazione dalla quale era nata una bambina. La donna aveva denunciato l’uomo per il comportamento violento tenuto nei suoi confronti, dal quale era scaturito il procedimento penale, non ancora concluso, per i reati di maltrattamenti in famiglia e atti persecutori. Il GIP aveva emesso, in via cautelare, un divieto di avvicinamento dell’uomo all’ex compagna.  Essendosi opposta al riconoscimento della bambina da parte del padre, questi aveva depositato ricorso ai sensi dell’art. 250 c.c., per ottenere un provvedimento che sostituisse il consenso mancante. Chiedeva, inoltre, l’attribuzione del proprio cognome alla figlia ex art. 262 c.c. e la statuizione sull’affidamento e il mantenimento.

Il Tribunale nominava un curatore per la minore dell’età di 21 mesi, stante l’ipotetico conflitto di interessi della figlia con la madre, che si opponeva al riconoscimento ritenendo il comportamento violento del padre pregiudizievole e pericoloso per la sana crescita della bambina. La causa veniva istruita con l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, volta ad indagare le capacità genitoriali ed educative delle parti.

Nella motivazione della sentenza si legge che il Collegio, nella valutazione in ordine all’accertamento della rispondenza del rifiuto del consenso da parte della resistente all’interesse della minore, ha ritenuto necessario verificare se il rifiuto fosse giustificato da gravi ed irreversibili motivi tali da lasciar supporre, sulla base di un giudizio prognostico, pregiudizievole per lo sviluppo psico-fisico della minore il riconoscimento del legame di filiazione con il padre. Secondo i principi espressi, a tal proposito, dalla Suprema Corte di Cassazione deve escludersi che l’autorizzazione al riconoscimento sia concedibile solo se da questo possa derivare per il figlio un concreto beneficio, sia sotto il profilo morale che quello materiale tenuto conto della natura di diritto soggettivo primario della possibilità di riconoscere il figlio naturale minore di anni 14, già riconosciuto dall’altro genitore (cfr. Cass. Civ. n. 2878/2005) posto che il sacrificio totale della genitorialità può essere giustificato solo in presenza di gravi e irreversibili motivi che inducano a ravvisare la forte probabilità di una compromissione dello sviluppo del minore, ed in particolare della sua salute psicofisica (cfr. Cass. Civ. n. 4/2008).

A parere dell’organo giudicante, la misura restrittiva non può essere considerata grave e irreversibile motivo, essendo ancora il procedimento in corso, e trattandosi di un primo ed isolato episodio. Inoltre, il padre della minore ha sempre dimostrato concreto interesse per la piccola, chiedendo informazioni durante la gravidanza e manifestando ripetutamente la volontà di riconoscere la figlia. Anche dall’osservazione in sede peritale era emersa una buona interazione padre/figlia e un atteggiamento piuttosto collaborativo della madre.

Statuendo sul consenso al riconoscimento, il Tribunale di Prato, nell’interesse della minore ha adottato contestualmente i provvedimenti opportuni di affidamento e mantenimento, in maniera conforme a quanto disposto dall’art. 250 IV comma c.c.

Sul punto i giudici hanno ritenuto che l’assunzione dei diritti e dei doveri da parte del genitore, non sia subordinata al previo riconoscimento, così come si può evincere dall’abrogazione dell’art. 261 c.c., dai nuovi artt. 315 e 315 bis c.c. che sanciscono il diritto del “figlio” ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito dai genitori. Tale interpretazione si pone in linea con l’intervenuta abolizione della distinzione tra figli naturali e legittimi,  attuata con la riforma della filiazione del 2012, per effetto della quale si è riconosciuto che i diritti di figlio sono strettamente connessi al solo fatto della procreazione (cfr. Cass. Civ. n. 5562/2012 e Cass. Civ. n. 26205/2013).

Pertanto, nel giudizio in oggetto l’atto di riconoscimento del figlio, condiziona esclusivamente la valenza dello status di figlio rispetto ai terzi e il concreto esercizio della responsabilità genitoriale, in considerazione dei profili di pubblicità derivanti dalla registrazione negli archivi dello stato civile.

La sentenza che tiene luogo del consenso mancante del genitore che per primo ha effettuato il riconoscimento potrà essere direttamente annotata nell’atto di nascita del minore ai sensi dell’art. 49 comma 1 lett. K del D.p.r. 396/2000, avendo il genitore già manifestato nelle forme di legge la volontà di riconoscimento attraverso il ricorso giudiziale.

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