In caso di eccessiva litigiosità tra i genitori non è ammesso il mantenimento diretto dei figli
Con la riforma di cui alla legge n. 54 del 2006, “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, è stato introdotto, al IV° comma dell’art. 337 ter c.c., l’istituto del mantenimento diretto della prole minorenne, in caso di crisi familiare.
Nello specifico tale disposizione, come tutte le altre norme introdotte dalla riforma, è finalizzata a porre al centro di ogni decisione e provvedimento in materia di affidamento dei minori il fondamentale “interesse” degli stessi, il quale in nessun modo deve essere danneggiato in caso di rottura della relazione sentimentale.
La differenza tra mantenimento diretto e mantenimento indiretto, consiste essenzialmente nel fatto che la prima forma di partecipazione al mantenimento della prole si concretizza nel soddisfacimento immediato e diretto da parte del genitore dei bisogni e delle necessità del minore; la seconda, invece, si sostanzia nella corresponsione di un assegno periodico destinato a coprire le esigenze ordinarie della prole.
Seppure il legislatore sembra fissare il mantenimento diretto quale regime preferibile alla luce della riforma del 2006, tuttavia, ciò non equivale affatto a dire, come la giurisprudenza ha spesso confermato, che lo stesso sia scelta automatica ed obbligata nel caso di affidamento condiviso dei minori (cfr. Cass. 785 del 20/01/2012). Proprio il contrario, infatti, sembra emergere dalla prevalente giurisprudenza che ancora oggi continua a disporre a carico del genitore non collocatario l’obbligo di corrispondere un assegno periodico quantificato in base ai criteri dettati all’art. 137 ter c.c., comma IV( cfr. Cass n. 23411 del 04/11/2009 e n. 23630 del 06/11/2009).
Generalmente, dunque, nei provvedimenti dei giudici viene sempre disposto un assegno periodico a carico di un genitore, quale contributo al mantenimento della prole, destinato o a sostituire integralmente il regime di mantenimento diretto, soprattutto nei casi eccezionali di affidamento esclusivo, o solo ad integrare lo stesso per garantire il rispetto del principio di proporzionalità, richiamato dallo stesso art. 137 ter c.c. oltre che dall’art. 148 c.c. (vedi Cass. n. 22502 del 04/11/2010). Raramente, dunque, si riscontrano pronunce contemplanti come unica modalità di partecipazione al sostentamento della prole quella del mantenimento diretto da parte di entrambi i genitori (cfr. Trib. di La Spezia, ord. del 14-3-2007; Trib. di Catania, 25-9-2009; Trib. di Bologna, ord. del 18-1-2010).
La ragione di tale orientamento giurisprudenziale va ricercata nella concreta difficoltà di attuazione del regime di mantenimento dei figli in forma diretta, che nella pratica finisce per rendere incerto e quindi non esigibile, il diritto del minore ad essere mantenuto. Tale regime lascia nell’astrattezza il dovere di ciascun genitore di impegnare una quota del reddito per il figlio e rischia, in molti casi, di favorire il conflitto o inasprirlo quando già esiste.
Il problema del mantenimento diretto è difatti di tipo applicativo in quanto esso presuppone che vi sia un elenco esaustivo di tutte le voci di spesa da destinare al mantenimento ordinario e che ogni volta si debba procedere a complessi conteggi ed a rendiconti periodici, fonti di probabili contestazioni anche circa l’eventuale tipologia e qualità di bene da acquistare.
Con la Sentenza n. 785 del 20/01/2012, la Corte ha preso una posizione netta rispetto al mantenimento in forma diretta, affermando che non può essere condiviso l’assunto secondo il quale, con la riforma di cui alla L. 54/2006, il contributo diretto da parte di ciascuno dei genitori costituirebbe la regola, quale conseguenza diretta dell’affido condiviso. Invero, l’art. 137 ter c.c., dispone che il giudice fissi, altresì, la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al loro mantenimento. In tal modo, il legislatore ha inteso conferire al giudice un’ampia discrezionalità nella determinazione del contributo a carico dei genitori, discrezionalità da esercitarsi ovviamente con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale della prole.
Il limite alla discrezionalità sta nel riferimento al perseguimento dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, per cui la scelta di applicare un regime diverso da quello stabilito dalla legge come prevalente, deve essere fornito di adeguata motivazione.
Nel caso di eccessiva litigiosità dei genitori, quale circostanza idonea a sollevare ulteriori conflitti in un contesto che al contrario esige una condotta pienamente collaborativa, la giurisprudenza ha giustamente scartato il regime del mantenimento diretto, considerandolo fonte di grave conflittualità a danno dei minori.
Secondo l’orientamento complessivamente espresso dalla Corte di Cassazione, nelle pronunce sopra esaminate, si può affermare, pertanto, che nei casi di affido condiviso, la scelta del regime di mantenimento diretto, non costituisce affatto una via obbligata, soprattutto in caso di rapporti conflittuali tra i genitori.
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