In caso di errore da parte del medico il paziente o i familiari possono chiedere il risarcimento dei danni secondo una specifica procedura

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La professione del medico è tanto nobile quanto delicata perché opera sul bene più prezioso per l’uomo, ossia la salute.

È sufficiente una svista od una valutazione errata o superficiale per cagionare danni alla salute di gravissima entità, se non addirittura il decesso del paziente.

Quali sono dunque i passi da seguire per il paziente che ritenga di aver subito un danno a causa di un errore medico, o per i suoi familiari?

La prima cosa da fare è raccogliere tutta la documentazione medica in possesso e contattare un legale esperto, unitamente al quale si procederà poi ad acquisire la cartella clinica conservata presso la struttura ospedaliera o sociosanitaria dove si è svolta la terapia. A questo punto, muniti di tutta la documentazione sanitaria, sarà opportuno recarsi da un medico legale con competenze specialistiche, il quale redigerà una perizia scritta volta a confermare o, al contrario, a smentire il dubbio del paziente circa l’errore medico.

Se effettivamente viene riscontrato un errore nell’operato del medico o della struttura sanitaria, si dovrà inviare una richiesta di risarcimento al medico o alla struttura sanitaria dove la terapia è stata eseguita, o, infine, all’Azienda Sanitaria Locale competente, nel caso in cui le cure siano state prestate presso una struttura pubblica.

Si dovrà, inoltre, prendere contatti con la Compagnia Assicuratrice incaricata della gestione del sinistro.

Come noto, infatti, con la recente riforma Gelli-Bianco, oltre ad esser stato introdotto l’obbligo per le strutture sanitarie e per i professionisti di dotarsi di una polizza assicurativa che copra il rischio di danni cagionati a terzi nell’esercizio della prestazione medico-sanitaria, è stato previsto il diritto del danneggiato a rivolgersi direttamente alle compagnie assicuratrici per ottenere il risarcimento, analogamente a quanto accade con la RCA per i sinistri stradali.

Una volta aperta la pratica di liquidazione presso l’impresa assicurativa, il danneggiato generalmente verrà sottoposto ad una visita medico-legale di riscontro presso un professionista incaricato dalla compagnia assicurativa, all’esito della quale, se vi è conferma dell’errore medico, quest’ultima potrebbe ritenere opportuno proporre un accordo.

Nel caso in cui non venga effettuata alcuna proposta o quest’ultima non venga considerata soddisfacente, il danneggiato potrà rivolgersi  all’autorità giudiziaria.

Tuttavia, prima di andare dinanzi ad un Giudice, la legge 24/2017 ha previsto un tentativo obbligatorio di conciliazione, al quale dovranno partecipare sia la struttura od il medico, sia il suo assicuratore.

Questo tentativo di conciliazione potrà avvenire mediante un ricorso per accertamento tecnico preventivo finalizzato alla composizione della lite, secondo la disciplina prevista dall’art. 696 bis c.p.c., oppure mediante una procedura stragiudiziale di mediazione civile avanti ad un organismo di mediazione ai sensi dell’articolo 5, comma 1 bis D. Lgs. 28/2010..

Nel primo caso, il legale di fiducia provvederà al deposito di un apposito ricorso al Tribunale competente, con il quale formulerà la richiesta di consulenza tecnica preventiva.

Il Tribunale procederà alla nomina di un C.T.U., il quale dovrà, tramite perizia scritta, accertare la sussistenza o meno di una responsabilità medica e l’eventuale entità del danno cagionato, nonché tentare di pervenire ad un accordo tra le parti.

Questa procedura di conciliazione dovrà concludersi entro il termine perentorio, ossia non derogabile, di massimo sei mesi dal deposito del ricorso.

Se non si perviene ad un accordo, o se il procedimento non si conclude entro il termine previsto, si potrà agire in giudizio, tramite il deposito di un ricorso di cognizione sommaria ex art. 702 bis c.p.c., avanti lo stesso Giudice che ha trattato il procedimento di consulenza tecnica preventiva.

È importante sapere che al procedimento di consulenza tecnica preventiva sono obbligate a partecipare tutte le parti coinvolte nella vicenda, pena la condanna alle spese di consulenza e di lite, indipendentemente da quello che sarà l’esito finale del giudizio, oltre che il pagamento di una pena pecuniaria in favore di chi, invece, è regolarmente comparso, pena che verrà determinata in via equitativa dal giudice.

Le imprese assicuratrici, inoltre, sono tenute a formulare un’offerta risarcitoria o, se ritengono di non dover rispondere, a comunicare i motivi del rifiuto.

Peraltro, se nell’ambito del procedimento di consulenza tecnica preventiva l’assicurazione non formula l’offerta di risarcimento, ma all’esito del giudizio di merito viene accertato il danno, il giudice segnalerà all’Ivass (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni) la condotta dell’assicurazione, tramite la trasmissione di una copia della sentenza.

Cosa succede se si omette di attivare il procedimento di consulenza tecnica preventiva o, alternativamente, la mediazione?

La domanda giudiziaria sarà improcedibile.

Tuttavia l’improcedibilità dovrà essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice al più tardi entro la prima udienza, altrimenti si riterrà sanata.

Se eccepita il giudice assegnerà alle parti il termine di 15 giorni per presentare la relativa istanza ex art. 696 bis c.p.c. dinanzi a sé, o per completare il procedimento che sia stato avviato ma non si sia concluso prima della presentazione della domanda.

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