In caso di maternità surrogata non è possibile il riconoscimento del figlio in assenza di legami biologici comprovata dall’esame del test del DNA

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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, intervenuta in seconda istanza nella controversia tra due coniugi cittadini italiani e lo Stato italiano ha escluso la violazione da parte dello Stato italiano dell’art. 8) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), in un caso concernente un minore nato da una madre surrogata in Russia e sottratto ai genitori a causa dell’inesistenza di un legame biologico con i coniugi.

I coniugi a causa del fallimento delle tecniche di procreazione medicalmente assistita e dell’impossibilità di ricorrere all’adozione a causa dell’età avanzata, avevano deciso di recarsi all’estero e di stipulare un contratto di gestazione per altri in Russia, attraverso la donazione del seme del marito.

Una volta rientrati in Italia con il neonato, i coniugi si vedevano rifiutare la trascrizione del certificato di nascita del minore rilasciato in Russia, dal quale essi risultavano essere i genitori del piccolo, senza alcun riferimento alla maternità surrogata. Le autorità italiane, quindi, iniziavano un procedimento penale nei confronti dei coniugi, accusati di alterazione dello stato civile ex art. 567 del c.p. e per uso di atto falso ai sensi degli artt. 489 e 479 c.p., nonché per violazione dell’art. 72 della legge sull’adozione, avendo portato illegalmente il bambino in Italia ed avendo violato i limiti di età previsti dalla legge sulle adozioni. Nello stesso periodo, il minore, considerato in stato di abbandono, veniva avviato all’adozione.

Il test del DNA rivelava che il bambino non aveva alcun legame genetico con i coniugi, sebbene, secondo la ricostruzione di questi ultimi, la clinica russa si fosse impegnata ad utilizzare il liquido seminale del marito, portato in Russia dalla moglie.

Il Tribunale dei Minori di Campobasso, presso la quale era nel frattempo giunto il caso, decideva, il 20 ottobre 2011, di allontanare il bambino dai coniugi e di affidarlo dapprima ad una casa famiglia e poi ad una nuova coppia. La decisione veniva confermata con sentenza del 28 febbraio 2012. Il Tribunale dei Minori di Campobasso, inoltre, nell’aprile 2013, decideva che i coniugi non avrebbero potuto partecipare alla procedura di adozione del minore, non avendo alcun legame di parentela con lo stesso. I coniugi ricorrevano, quindi, alla Corte di Strasburgo, lamentando la violazione da parte dell’Italia dell’art. 8) della CEDU, che tutela la vita privata e familiare, per aver sottratto il minore alle loro cure, rifiutandosi di riconoscere la relazione genitoriale attraverso la mancata trascrizione del certificato di nascita redatto all’estero.

Con la prima decisione del 27/01/2015 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, riconosceva l’intervenuta violazione da parte dello Stato italiano dell’art. 8) della CEDU, in quanto seppure i ricorrenti avessero passato con il minore solo sei mesi, questo pur breve periodo di tempo aveva consentito l’instaurarsi di una relazione tra i coniugi ed il bambino. La Corte rilevava che, sebbene l’attività delle autorità italiane era motivata dall’esigenza di porre termine ad una situazione illegittima, l’esigenza di tutelare l’ordine pubblico non poteva essere utilizzata in modo automatico, senza prendere in considerazione il miglior interesse del minore e la relazione genitoriale nel frattempo instauratasi.

In secondo grado, la Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in data 24/01/2017, su impugnazione proposta dallo stato italiano, ribaltava la decisione precedente, escludendo l’applicazione, al caso di specie, dell’art. 8) della CEDU e riconoscendo la conformità al principio di proporzionalità delle misure adottate da parte delle autorità italiane (allontanamento del minore dai coniugi e affidamento ad un’altra famiglia).

La Corte, diversamente dalla precedente pronuncia, riteneva che l’art. 8) della CEDU non potesse trovare applicazione quanto alla violazione del diritto al rispetto della vita familiare, per le specifiche circostanze del caso concreto, ovvero l’assenza di un legame biologico tra la coppia ed il minore, la breve durata della relazione con il bambino e la mancanza di certezze circa i legami tra di loro dal punto di vista legale, che non consentivano di affermare che si fosse instaurata una famiglia di fatto, presupposto essenziale per l’applicazione della suddetta disposizione.

Per quanto riguarda la violazione del diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti, pur riconoscendo la Corte che il perseguimento di un progetto familiare e genitoriale “genuino”, possa rientrare nell’ampia definizione di vita privata contemplata dalla Convenzione, non ha ritenuto che le misure adottate dalle autorità italiane nei confronti del minore e dei ricorrenti avessero violato tale diritto, in quanto conformi alla legge e dirette a proteggere il minore, ponendo un freno alla pratica vietata in Italia della maternità surrogata.

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