In caso di separazione consensuale i coniugi cointestatari della casa familiare hanno molteplici opzioni per trovare una soluzione tenendo conto che gli accordi relativi al mutuo non sono opponibili alla banca
Nel caso di separazione consensuale, i coniugi possono scegliere tra diverse soluzioni, decidendo, altresì, di modificare il contratto di mutuo. Tale accordo può entrare a far parte del ricorso per la separazione e, perciò, essere omologato dal giudice.
In tale ipotesi, le soluzioni possibili sono le seguenti: a) accollo da parte di un solo coniuge del pagamento per intero della rata del mutuo che rimane cointestato, con conseguente riduzione dell’ammontare dell’assegno di mantenimento dovuto in favore dell’altro coniuge. Di ciò deve essere fatta espressa menzione nell’accordo consensuale di separazione. Detto accordo tra i coniugi, rispetto all’istituto di credito, si configura però come un accollo interno e, come tale, inopponibile al creditore che non vi ha aderito, che in caso di inadempimento potrà agire nei confronti di entrambi i coniugi; b) i coniugi possono decidere di lasciare cointestato il mutuo: rimangono entrambi obbligati nei confronti della banca che, in caso di mancato pagamento da parte di uno dei due, può aggredire i loro beni. Stesso accordo può prevedersi nel caso in cui il mutuo sia intestato ad uno solo: in tal caso la decisione di proseguire nel pagamento del mutuo può essere considerata una forma di contributo al mantenimento del coniuge e/o dei figli che continueranno ad abitare la casa familiare; c) i coniugi possono decidere di vendere l’immobile, estinguere il mutuo su di esso gravante e dividere i proventi della vendita in proporzione alle rispettive quote di proprietà: questo è senz’altro più agevole se non vi sono figli minori o nel caso in cui, pur essendoci, ci sia la possibilità di abitare altrove; d) un’altra possibilità risiede nell’estinzione del mutuo da parte di entrambi i coniugi mediante corresponsione delle rate residue. Tale opzione si ritiene fattibile allorché le rate rimaste siano poche e i coniugi intendano preservare per i figli il cespite. Nel qual caso, si potrà prevedere anche la cessione a titolo oneroso della quota di comproprietà a favore del coniuge assegnatario; e) infine i coniugi possono accordarsi (rinegoziando le condizioni con l’istituto di credito) per l’uscita di uno dei due dal contratto di mutuo e nella contestuale cessione della propria quota di proprietà all’altro, il quale, di conseguenza, diventa proprietario esclusivo della casa e unico titolare del contratto di mutuo.
Tale ipotesi comporta però il necessario coinvolgimento dell’istituto di credito che ha erogato il mutuo, il quale deve prestare il proprio assenso a tale operazione. La banca, infatti, dovrà valutare se il coniuge che rimane sia sufficientemente affidabile, ovvero sia in grado di offrire garanzie circa l’adempimento delle rate residue di mutuo. Nel caso in cui il coniuge cui competerebbe l’esclusivo accollo del mutuo non sia in grado di offrire simili garanzie, la banca non presterà il proprio consenso ed entrambi i coniugi resteranno obbligati alle originarie condizioni negoziali.
Qualora la banca acconsenta all’accollo del mutuo, il coniuge che cede la propria quota dell’immobile all’altro realizza una vendita di quota di proprietà immobiliare, soggetta a trascrizione immobiliare ex art. 2643 c.c.., per la quale potrebbe rendersi necessario l’intervento del notaio. L’intervento del notaio può essere evitato solo laddove in sede di separazione consensuale si riesca a inserire nel relativo accordo una clausola completa di tutti i dati catastali del cespite. Nel qual caso, sarà sufficiente l’intervento del giudice dell’omologa.
La giurisprudenza di legittimità riconosce, infatti, come pienamente valide le clausole dell’accordo di separazione che attribuiscono ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento (cfr. Cass. Civ. n. 12110/92; Cass. Civ. n. 3299/72; Cass. Civ. n. 9500/87). Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza, redatto da un ausiliario del giudice a norma dell’art. 126 c.p.c. e diretto a far fede di ciò che in esso è attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c., senza che la validità di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi (cfr. Cass. civ., n. 4306/97; Cass. civ. n. 8516/06; Cass. civ. n. 12045/10).
Rientra, infatti, pertinentemente nel contenuto eventuale dell’accordo di separazione ogni statuizione finalizzata a regolare l’assetto economico dei rapporti tra i coniugi in conseguenza della separazione, comprese quelle attinenti al godimento ed alla proprietà dei beni, il cui nuovo assetto sia ritenuto dai coniugi stessi necessario in relazione all’accordo di separazione e che il Tribunale – con l’omologazione – non abbia considerato in contrasto con interessi familiari prevalenti rispetto a quelli disponibili di ciascuno di essi.
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