In caso di separazione dei coniugi non è sufficiente l’astratta capacità lavorativa del coniuge a far venir meno l’assegno di mantenimento ma è necessario provare la concreta possibilità di lavoro retribuito offerta al coniuge

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È quanto si desume dall’ordinanza della Corte di Cassazione, n. 28938 del 2017 che ha respinto il ricorso di un libero professionista che contestava la spettanza alla moglie dell’assegno di mantenimento.

Per il giudice di merito, infatti, doveva ritenersi che i coniugi avessero deciso di comune accordo che la donna non avrebbe lavorato per dedicarsi alla casa e alla famiglia. A seguito della separazione, pertanto, la moglie risultava priva di fonti di reddito, eccetto l’assegno di mantenimento dato che il marito risultava essere un affermato professionista proprietario di diversi immobili.

La Cassazione dopo aver sottolineato come la separazione personale, a differenza del divorzio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, ha ribadito che l’entità dell’assegno di separazione è stato determinato comparando le rispettive situazioni reddituali e patrimoniali dei coniugi con il fine di assicurare al coniuge economicamente più debole un tenore di vita tendenzialmente simile a quello goduto in costanza di matrimonio.

Infatti, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, non sussiste alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione.

Si tratta, sostanzialmente, di una situazione dalla consistenza diversa rispetto alla solidarietà post coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio.

Per quanto riguarda l’eccezione sollevata dal marito sul fatto che la moglie per età e attitudini godeva di una capacità lavorativa e aveva dunque la possibilità di trovare un lavoro per usufruire di una propria fonte di reddito, la Suprema Corte richiama la giurisprudenza pregressa secondo cui, in riferimento all’assegno di mantenimento a seguito di separazione, l’attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fatto individuale, ambientale e non di mere valutazioni astratte e ipotetiche.

L’onere della prova quindi incombe sul coniuge obbligato, il quale deve dimostrare la concreta possibilità di lavoro retribuito offerta al coniuge.

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