In presenza di figli anche le condotte successive alla cessazione della convivenza posso configurare il delitto maltrattamenti in famiglia

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Al reato di maltrattamenti in famiglia previsto e punito dall’art. 572 del c.p. – configurabile anche all’interno di una relazione di fatto – possono ricondursi, in presenza di figli comuni, anche le condotte poste in essere successivamente alla cessazione della convivenza, giusta la permanenza in capo agli ex conviventi di reciproci doveri di rispetto, assistenza morale e materiale.

A stabilirlo è la sesta sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza del 22/05/2017 n. 25498, con la quale è stato rigettato il ricorso di un uomo avverso la pronuncia con cui la Corte d’Appello di Ancona riduceva la pena inflittagli ma confermava la condanna per i reati di maltrattamenti in famiglia, lesioni aggravate e minaccia a danno della convivente.

Con il ricorso, l’uomo lamentava che il collegio aveva erroneamente ritenuto sussistente il reato di maltrattamenti in famiglia, anche con riferimento ad episodi avvenuti in periodi in cui la convivenza con la parte offesa era già cessata. Decisione basata sull’erroneo presupposto della permanenza, a rapporto concluso, di reciproci vincoli di assistenza e rispetto, pari a quelli esistenti tra coniugi separati.

Secondo tale impostazione, in capo agli ex partner non residuerebbero – a differenza di quanto accade per i coniugi separati, vincolati fino al divorzio ad attenuati ma reciproci obblighi di solidarietà, assistenza e protezione – vincoli tali da consentire il configurarsi dei maltrattamenti familiari.

Di diverso avviso i giudici della Suprema Corte, che in relazione alle modifiche apportate all’art. 572 c.p. dalla legge n. 172/2012 – attraverso la quale è stato esteso anche al convivente la qualità di persona offesa dal delitto in questione, riconoscendo alle unioni di fatto specifica identità di valore, hanno ritenuto che la cessazione della convivenza non leda i vincoli precedentemente sorti tra i familiari, ove sostenuti dall’istituto del matrimonio o da un derivato rapporto di filiazione.

In costanza di una convivenza di fatto o more uxorio è proprio la convivenza o la coabitazione a manifestare il rapporto di solidarietà e protezione che lega due o più persone in un consorzio familiare, per cui, cessata la convivenza, il rapporto sottostante non va a cadere, a meno che non si tratti di legami di estemporanea formazione e durata. Di conseguenza, il concludersi della convivenza non vale ad escludere per ciò stesso, la configurabilità di condotte di maltrattamento tra i componenti della coppia quando il rapporto personale di fatto sia stato il risultato di un progetto di vita fondato sulla reciproca solidarietà ed assistenza la cui principale ricaduta non può che essere il derivato rapporto di filiazione. La presenza di prole pone sul medesimo piano convivenza e matrimonio, implicando la permanenza di un complesso di obblighi tali da comportare una prosecuzione di rapporti tra i genitori.

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