In sede di separazione dei coniugi risulta sempre più difficile per una giovane moglie abile al lavoro vedersi riconosciuto un assegno di mantenimento dal marito

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In sede di separazione, all’obbligo di assistenza morale e materiale imposto reciprocamente ai coniugi durante la convivenza  matrimoniale, si sostituisce il dovere di contribuire economicamente al mantenimento del coniuge privo di adeguati redditi propri. La somma di denaro, da corrispondersi su specifica domanda del coniuge al quale non sia addebitata la separazione, viene commisurata in considerazione dei mezzi dell’onerato e dei bisogni del richiedente. L’istituto del mantenimento, pertanto, trova la sua ratio nella tutela del coniuge economicamente più debole, mirando a garantirgli tendenzialmente lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

L’orientamento della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, è però sempre meno convinto nel riconoscere alla donna giovane ed ancora abile al lavoro il diritto all’assegno di mantenimento. I Giudici, infatti, sono sempre meno propensi all’accordare assegni di mantenimento generosi e, molto spesso, superiori alle capacità del soggetto onerato.

In particolare, l’inversione di rotta è stata segnata dalla Suprema Corte con la sentenza n. 11870/2015, con la quale si è affermato che la donna giovane, in grado di lavorare e, quindi, di reperire con la propria attività quel reddito necessario a mantenere lo stesso tenore di vita di cui godeva durante il matrimonio, non ha diritto ad alcun mantenimento. E ciò anche se, durante l’unione, svolgeva mansioni di casalinga.

A tal fine, anche un’attività saltuaria potrebbe rilevare come motivo per chiedere la revisione delle condizioni di mantenimento e azzerare l’assegno. L’onere della prova, inoltre, ricade sulla donna e non più sul marito. La predetta sentenza della Cassazione ha affermato, infatti, il principio in base al quale la dimostrazione della difficoltà economica e della impossibilità a procurarsi un reddito grava sulla donna. L’assegno, insomma, non diventa più una misura automatica, che scatta per il solo fatto della separazione tra i due coniugi. Si consolida, pertanto, il principio per cui, se il richiedente non offre una valida giustificazione economica, con una prova rigorosa della sua incapacità a procurarsi un reddito, perde ogni diritto.

In passato, gran parte degli assegni di mantenimento venivano accordati a semplice richiesta: la giurisprudenza operava una sorte di identificazione tra la nozione di coniuge economicamente debole e quella di moglie, prevedendo che il coniuge che richiedeva l’assegno, poteva limitarsi a dedurre di non avere i mezzi adeguati, trasferendo così sulla controparte l’onere probatorio della contraria verità.

Tale orientamento, tuttavia, è stato recentemente posto in discussione da alcune decisioni che hanno intaccato il dogma del mantenimento e con esso l’automatica equiparazione tra moglie e soggetto economicamente più bisognoso.

Nel 2004 la Cassazione (sentenza n. 21080/2004) ha sostenuto che il coniuge richiedente il mantenimento deve dimostrare, con idonei mezzi di prova, quale fosse tale tenore di vita e quale deterioramento ne sia conseguito per effetto del divorzio, nonché tutte le circostanze suscettibili di essere valutate dal Giudice alla luce dei criteri legislativi per la determinazione dell’assegno. La strada imboccata dalla recente giurisprudenza, soprattutto di legittimità, è quella di un maggiore rigore nel riconoscimento del diritto all’assegno di mantenimento.

In particolare, per la recente Cassazione, occorre una valutazione dell’attitudine di ciascun coniuge a procurarsi degli introiti e il mantenimento in favore della ex-moglie non può essere disposto in assenza di impossibilità oggettiva in capo alla stessa di procurarsi mezzi adeguati per conseguire un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio, mentre svolgeva mansioni di casalinga (cfr. Cass. civ. 11870/2015; nello stesso senso Cass. n. 24324/2015).

Dello stesso tenore anche la giurisprudenza di merito, che ha negato il diritto al mantenimento per la donna il cui ex-marito si trovi a dover pagare le rate del mutuo della casa coniugale assegnatale e a sostenere al contempo le spese di un nuovo alloggio per sé (cfr. Trib. Roma 31/05/2016) e ha escluso, in sede di cessazione degli effetti civili del matrimonio c.d. divorzio, il diritto all’assegno divorzile per l’ex-moglie lavoratrice, già beneficiaria del mantenimento al tempo della separazione, che nel frattempo abbia intrapreso una convivenza stabile con altra persona.

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