Integra il reato di atti persecutori anche il comportamento ossessivo del padre che pretenda di frequentare il figlio al di fuori degli orari di visita stabiliti
Con la parola anglosassone stalking (letteralmente “fare la posta”) si è soliti indicare una serie di comportamenti ossessivi e ripetuti tenuti da un soggetto nei confronti della sua vittima, che si possono ricondurre ad un insieme di condotte vessatorie, di diverso genere ed entità.
Anche l’isolata condotta innocua può sfociare nello stalking, quando cresce di gravità tale da degenerare in ossessione.Possono sostanziarsi in minacce, molestie, atti lesivi continuati quali attenzioni indesiderate, telefonate, pedinamenti, diffusione di dichiarazioni oltraggiose, nonché della minaccia di violenza nei confronti della vittima, dei suoi familiari o addirittura di animali che le siano cari, tali da indurre nella persona che le subisce un disagio psichico e fisico ed un ragionevole senso di timore.
Nella maggior parte dei casi, i comportamenti assillanti provengono da uomini, di solito partner o ex partner della vittima, ma il persecutore potrebbe essere anche un collaboratore, un amico, un conoscente, un vicino di casa: non sempre, peraltro, il molestatore assillante tende ad identificarsi in un soggetto con precedenti penali, affetto da disturbi mentali o, ancora, dedito all’abuso di sostanze stupefacenti o alcoliche, come solitamente si pensa.
Il reato di stalking è disciplinato dall’art. 612 bis del codice penale – denominato “atti persecutori” – che al I comma punisce la condotta di chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita con la reclusione da sei mesi a quattro anni, salvo che il fatto non costituisca più grave reato.Ai sensi del secondo comma, inoltre, la pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
Il comma successivo prevede un aumento della pena fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992,n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
In genere la procedibilità è a querela della persona offesa, con termine per la sua proposizione di sei mesi.
Può, tuttavia, procedersi d’ufficio, quando il fatto viene commesso nei confronti di un minore di età oppure di una persona con disabilità (l. 104/1992) nonché quando il fatto viene connesso con altro delitto per cui debba procedersi d’ufficio.
Il reato può, tuttavia, manifestarsi non solo attraverso atti palesemente molesti e fastidiosi, ma anche tramite comportamenti apparentemente inoffensivi.Sul punto recentemente è intervenuta la Corte di Cassazione, sezione penale, che con la sentenza n. 24795 del 18 maggio 2017 ha ritenuto colpevole del reato di stalking un padre che pretendeva di frequentare il figlio al di fuori degli orari di visita stabiliti, imponendo la propria presenza in maniera talmente persistente e incontrollata da costringere moglie e figlio stesso a cambiare le loro abitudini di vita, oltre che a causargli un disagio psicologico e uno stato di turbamento costante.
Nell’ambito di una cultura in continua evoluzione e sensibilizzazione, in presenza di significativi traguardi raggiunti in tema di diritto di famiglia, questa pronuncia sottolinea la crescente volontà di punire in maniera sempre più rigorosa quei comportamenti che pregiudicano l’identità del singolo e che incidono sui diritti fondamentali della persona.
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