La tolleranza del coniuge è irrilevante ai fini dell’addebito della separazione
La Suprema Corte con la sentenza n. 19450 del 20/09/2007 ha disconosciuto che la “tolleranza” dimostrata dal coniuge a fronte delle violazioni dei doveri coniugali poste in essere dall’altro coniuge possa assumere l’efficacia di una sorta di scusante, evidenziando come detta tolleranza – irrilevante come stato soggettivo esprimendo un’impensabile accettazione consensuale delle angherie del coniuge – sia invece espressiva di una sostanziale cessazione dell’affectio coniugalis e quindi della conversione del matrimonio in una protratta convivenza meramente formale.
La valutazione dell’addebito della separazione deve, infatti, sempre essere condotta mediante la previa verifica che i comportamenti contrari ai doveri scaturenti dal matrimonio assunti dal coniuge in piena coscienza e volontà, sebbene tollerati nel tempo dall’altro coniuge, abbiano un’incidenza causale diretta nel determinare una condizione di oggettiva intollerabilità della convivenza.
Il medesimo principio è affermato in una precedente sentenza della Corte di Cassazione n. 5762 del 1997 in relazione ad un caso nel quale le violazioni dei fondamentali doveri derivanti dal matrimonio poste in essere dal marito e concretantesi in violenze fisiche, minacce, mancata erogazione dei mezzi di sostentamento, sopportate da parte della moglie durante otto anni di una convivenza sempre più conflittuale, sono state considerate causa unica ed efficiente della fine del rapporto matrimoniale.
Pertanto, come affermato dalla Suprema Corte, “… gli atti contrari ai doveri nascenti dal matrimonio… debbono presumersi cause efficienti del formarsi o del consolidarsi di una situazione di definitiva intollerabilità della prosecuzione della convivenza…“, a nulla rilevando la circostanza che tali atti siano stati tollerati da parte dell’altro coniuge nel corso della convivenza.
L’accertamento processuale di tali violazioni non può non dar luogo alla pronunzia di addebitabilità nei confronti dell’autore delle medesime con conseguente diritto dell’altro coniuge ad ottenere un assegno di mantenimento.
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