La convivenza prematrimoniale è un fattore rilevante insieme all’entità dell’assegno ed alla durata dei matrimoni per la determinazione delle quote di reversibilità tra ex coniuge titolare di assegno divorzile ed il coniuge superstite
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 13642/2017, riconosceva alla seconda moglie il 75% della pensione di reversibilità del de cuius, sebbene il matrimonio con quest’ultima fosse durato molto meno rispetto a quello contratto con la prima moglie, attribuendo un peso specifico alla lunga convivenza prematrimoniale tra i due, durata per più di venti anni e successivamente culminata nelle nuove nozze.
Per il Tribunale, infatti, a rilevare ai fini della determinazione delle quote di reversibilità, non è soltanto la durata dei due matrimoni, ma anche altri fattori, tra cui l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, le condizioni economiche delle due vedove e altresì la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali.
Un principio in linea con l’orientamento consolidato della Cassazione, la quale, con la recente ordinanza n. 16602/2017 si è espressa nello stesso senso, rigettando il ricorso di una delle due mogli di un uomo contro la seconda coniugata e cassando la sentenza di merito, che aveva deciso per la ripartizione in parti uguali della pensione di reversibilità dello scomparso.
Tra i fattori rilevanti ai fini della determinazione della quota di reversibilità tra le due mogli del defunto (la ex e l’attuale convivente) emerge non solo la durata dei due matrimoni, ma anche l’entità dell’assegno riconosciuto alla ex coniuge, le condizioni economiche dei due e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali.
L’art. 9 della legge n. 898/1970, che prevede il criterio temporale della durata formale del rapporto matrimoniale ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità fra ex coniuge titolare di assegno divorzile e coniuge superstite, è stato interpretato dalla Corte di Cassazione (cfr. tra le altre, Cass. n. 16093 e 10391/2012, n. 5060/2006, n. 28478/2005, n. 6272/2004), in linea con la Corte costituzionale ( cfr. sent. n. 419/1999), nel senso che il giudice del merito ha la possibilità di applicare correttivi di tipo equitativo, tra i quali la durata della convivenza prematrimoniale e le condizioni economiche delle parti interessate, al fine di evitare che il primo coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento del tenore di vita cui era preordinato l’assegno di divorzio ed il secondo sia privato dei mezzi necessari per la conservazione del tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato in vita.
La Corte territoriale ha precisato che il meccanismo divisionale non è uno strumento di perequazione economica fra le posizioni degli eventi diritto, ma è preordinato alla continuazione della funzione di sostegno economico assolta a favore dell’ex coniuge e del coniuge convivente durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell’assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi.
Pertanto, la ripartizione del trattamento economico va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi quale l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, le condizioni economiche dei due e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali, così come da indirizzo espresso in diversi precedenti della Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ. sent. n. 16093/2012, n. 6019/2014 e n. 21598/2014).
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