La Legge Consolo n. 7/2006 ha introdotto misure di prevenzione e contrasto del fenomeno dell’infibulazione e delle altre pratiche di mutilazione genitale femminile

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L’infibulazione è una pratica di mutilazione genitale femminile a cui sono sottoposte milioni di donne e bambine ogni anno nel mondo, per motivi non terapeutici. In particolare, l’infibulazione consiste nell’asportazione (escissione tramite un taglio) del clitoride, delle piccole labbra, di parte delle grandi labbra vaginali, alle quali segue la cucitura della vulva.

Alla donna (o meglio alla bambina, o addirittura neonata) viene lasciato aperto solo un foro per la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale. Questa “operazione” viene eseguita quasi sempre senza alcun rispetto delle norme igieniche, senza anestesia e con strumenti rudimentali.

Le pratiche di mutilazione sessuale femminile, di cui l’infibulazione rappresenta la forma più crudele e menomante, sono diffuse in almeno 40 paesi nel mondo, in modo particolare nell’Africa sub-sahariana, nella penisola araba e nel sud-est asiatico.

Tali pratiche vengono molto spesso considerate parte di alcune culture religiose, prevalentemente islamiche. In realtà si praticano in società di religione sia islamica che politeista e cristiana, pur essendo pubblicamente condannate in ciascuna di esse.

Le motivazioni che spingono a praticare queste vere e proprie torture si richiamano a detti popolari, precetti religiosi o al controllo politico e sessuale della donna.

Ma la motivazione e causa fondamentale di questo crimine è che nelle culture ove le mutilazioni sono richieste e praticate, non averle subite significa isolamento sociale. La sessualità femminile è considerata un istinto impuro e da controllare e, possibilmente, annullare. Attraverso queste pratiche la donna preserva l’onore e l’integrità della famiglia. Perdendo individualità e diritti, la giovane donna viene accettata dal proprio gruppo sociale, subendo dunque non solo una violenza fisica, ma anche psicologica, poiché la pratica mutilativa viene considerata dalle stesse donne necessaria per il loro vivere associato.

In molte culture si crede, altresì, che l’infibulazione accresca la fertilità e metta al riparo la donna da malattie. Inutile dire che questa pratica non solo non fa bene alla salute, ma spesso è causa di morte nel momento stesso della sua esecuzione, a causa di emorragie, infezioni e shock, ma anche durante il parto e, quando non uccide la donna, causa comunque danni gravissimi ed irreparabili. L’infibulazione comporta terribili conseguenze e danni sia sull’integrità fisica che su quella psichica della donna. I rapporti sessuali diventano estremamente dolorosi e difficoltosi, spesso insorgono cistiti, ritenzione urinaria e infezioni vaginali.

L’UNICEF considera le mutilazioni genitali femminili, una palese violazione dei diritti della donna. Tali pratiche sono discriminatorie e violano il diritto delle bambine alla salute, alle pari opportunità, ad essere tutelate da violenze, abusi, torture e trattamenti inumani, come prevedono tutti i principali strumenti del diritto internazionale. Dal 1993 qualsiasi forma di mutilazioni genitali femminili, viene considerata dalla Legislazione Internazionale dei Diritti Umani, una violenza contro le donne, mentre nel 2012 l’Assemblea Generale dell’Onu ha decretato una risoluzione sull’eliminazione di questa pratica. La mobilitazione globale su questo tema ha portato alla decisione di 24 dei 29 paesi dove si concentrano il maggior numero di infibulazioni o escissioni, di bandire tale rito disumano. Ma i progressi sono ancora lenti.

Negli ultimi decenni, la risoluzione di questo problema è diventata sempre più necessaria ed urgente, a causa dell’intensificarsi dei flussi migratori provenienti dall’Africa verso il Vecchio Continente, con l’aumento di richieste, da parte dei genitori immigrati, di poter effettuare mutilazioni genitali sulle proprie figlie nelle strutture sanitarie pubbliche.

Con l’entrata in vigore della legge “Consolo” n. 7/2006, dal 02 febbraio 2006, anche in Italia praticare mutilazioni genitali femminili a fini non terapeutici, integra reato previsto e punito dall’art. 583 bis del c.p., per il quale si applica la pena della reclusione da 2 a 12 anni, pena aumentata di un terzo se la mutilazione viene compiuta su una minorenne, nonché in tutti i casi in cui viene eseguita per fini di lucro. Le nuove norme hanno lo scopo di prevenire, contrastare e reprimere pratiche intollerabili che colpiscono bambine e adolescenti, e che violano i fondamentali diritti della persona, primo fra tutti quello all’integrità fisica.

Questa fattispecie penale richiede il perseguimento da parte dell’autore del reato, a titolo di dolo specifico, di una determinata finalità, ovvero il soggetto deve agire al fine di menomare le funzioni sessuali della persona offesa, vale a dire deve praticare la lesione degli organi genitali femminili al fine di alterare, sotto un profilo fisico, le funzioni sessuali della donna, compromettendo il desiderio o la praticabilità dell’atto sessuale.

Per effetto dell’intervento normativo sono state aggiunte nel codice penale due nuove fattispecie penali, destinate ad occupare l’ambito applicativo sinora proprio del reato di lesioni personali. Prima di tale legge, l’unica forma di repressione penale per tali pratiche passava per gli artt. 582 e 583 c.p., in tema di lesioni personali (gravi in caso di pericolo per la vita; gravissime in caso di malattia insanabile). L’introduzione di una norma incriminatrice ad hoc è dovuta all’intollerabilità delle condotte di mutilazione ed alla inadeguatezza delle norme generali in tema di lesioni personali.

Il primo comma dell’art. 583 bis c.p. contiene il delitto di mutilazioni genitali. Viene punito con la reclusione da 2 a 12 anni, chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili. Invece, il secondo comma riguarda il delitto di lesioni genitali, e prevede la reclusione da tre a sette anni per chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente. In quest’ultima autonoma fattispecie penale vi rientrano, pertanto, tutti i tipi di aggressione agli organi genitali femminili esterni produttivi di una malattia nel corpo o nella mente, purché non consistenti in una mutilazione, totale o parziale degli stessi.

Come previsto dalla legge n. 7/2006, per contribuire  al definitivo superamento delle pratiche di mutilazione genitale femminile, risulta opportuno rafforzare gli strumenti preventivi, quali campagne di informazione e sensibilizzazione sui possibili danni alla salute psico-fisica delle donne, che coinvolgano le stesse comunità di immigrati interessate da tale fenomeno.  Più in generale, si rendono necessari interventi diretti ad avviare concreti percorsi di integrazione socio-culturale delle donne immigrate, oltre a concedere lo status di rifugiato ed il diritto di asilo per le donne straniere che fuggono dal proprio paese per sottrarre se stesse o le proprie figlie dal barbaro rituale. Tale misura potrebbe acquisire un potente significato simbolico, fornendo maggiore autorevolezza morale al nostro ordinamento, palesando in modo inequivoco l’intenzione del nostro paese di schierarsi al fianco delle donne a rischio di mutilazioni.

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