La pensione di reversibilità non può essere riconosciuta al coniuge superstite in caso di assegno divorzile “una tantum”

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La pensione di reversibilità è l’erogazione previdenziale che, alla morte del titolare pensionato (per vecchiaia, anzianità o inabilità), compete ai membri del suo nucleo familiare, cioè il coniuge, i figli, e, a particolari condizioni, anche ai nipoti minori, i genitori, i fratelli e le sorelle.

 Il secondo comma dell’articolo 9 della legge 898 del 1970, statuisce che in caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite, avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza.

Sul punto è intervenuta una recente sentenza della Corte di Cassazione n. 9054/2016, con la quale si è precisato che in caso di corresponsione dell’assegno divorzile “una tantum”, non sorge il diritto da parte dell’ex coniuge alla pensione di reversibilità.

Nel caso di specie, la donna aveva rinunciato, in sede di divorzio, all’assegno di mantenimento (previsto invece in sede di separazione) ottenendo in cambio il diritto di abitare nella casa di proprietà del defunto ed il comodato sui mobili.

Secondo la Suprema Corte, se l’ex moglie ottiene l’assegno divorzile in unica soluzione, non matura il diritto alla pensione di reversibilità del coniuge. In tal caso, infatti, la possibilità di liquidare le pretese dell’ex moglie, mediante un versamento “una tantum”, così come consentito dall’art. 5, comma 8, della legge n. 898/1970, determina l’estinzione di qualsiasi altra pretesa di contenuto patrimoniale in capo al beneficiario, nei confronti dell’altro coniuge. Riconoscere anche la pensione di reversibilità del de cuius, significherebbe, difatti, consentire alla donna di godere di una condizione migliore di quella vissuta quando l’ex marito era in vita, visto che all’epoca non godeva dell’assegno periodico, l’unico che è titolo per dare diritto alla pensione.

Tale orientamento si inserisce nell’alveo delle precedenti pronunce dei Giudici della Suprema Corte, che già nel marzo del 2012, con sentenza n. 3635/12 avevano riconosciuto il diritto alla pensione di riversibilità, solamente a favore di coloro che siano titolari di un assegno divorzile vero e proprio, unici legittimati a proporre successive domande di contenuto economico, come quella relativa al trattamento previdenziale dell’ex coniuge deceduto.

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