La regolamentazione delle convivenze di fatto tra persone unite stabilmente da un legame di coppia affettivo e di reciproca assistenza morale e materiale ed i contratti di convivenza

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Con la Legge Cirinnà il nostro legislatore ha messo in atto un’importantissima riforma del diritto di famiglia, dando riconoscimento alle tanto discusse unioni civili tra persone dello stesso sesso. In verità questa legge ha riformato, seppur non radicalmente, anche la disciplina delle convivenze di fatto, recependo alcune prassi elaborate dalla giurisprudenza sul campo ed oramai acquisite nel nostro patrimonio giuridico.

Innanzitutto bisogna specificare che per convivenza di fatto si fa riferimento alle coppie, sia etero che omosessuali, unite stabilmente da un legame di coppia affettivo e di reciproca assistenza morale e materiale, non legate da parentela, affinità, adozione, matrimonio o unione civile.

La legge non richiede che i conviventi rilascino una formale dichiarazione all’ufficiale di stato civile, ma richiede necessariamente che la coppia coabiti e dimori abitualmente nello stesso comune (ai sensi dell’art. 4 d.p.r. 223/1989).

Dunque, due persone che vivono insieme, con o senza figli, hanno la facoltà (non l’obbligo) di recarsi nel Comune di residenza e registrarsi nello stesso stato di famiglia, risultando così parte di uno stesso nucleo familiare.

L’appartenenza allo stesso stato di famiglia anagrafico sarà elemento indiziario, non sufficiente ma certamente determinante, al fine di dimostrare il rapporto di convivenza.

Tralasciando temporaneamente il profilo riguardante i diritti e i doveri derivanti dalle convivenze more uxorio, ci soffermiamo oggi sull’istituto dei c.d. contratti di convivenza, già in passato ammessi nel nostro ordinamento alla stregua di qualsivoglia altro contratto atipico, ma oggi oggetto di una specifica disciplina ad opera della Legge Cirinnà. La coppia convivente di fatto ha la facoltà (anche in questo caso non vi è alcun obbligo) di regolare tramite un contratto gli aspetti economici del proprio rapporto. È bene tener presente sin da subito che tali accordi possono avere ad oggetto soltanto i rapporti patrimoniali relativi alla vita comune e mai i rapporti personali tra i conviventi o i rapporti con i figli, le cui clausole, se previste, saranno nulle.

Quale può essere allora il contenuto di questo contratto?

Innanzitutto con il contratto di convivenza le parti possono stabilire la residenza comune, le modalità di contribuzione alle spese quotidiane, in relazione alle rispettive capacità economiche e lavorative, nonché, infine, il regime patrimoniale della comunione dei beni previsto per il matrimonio.

Il contratto deve necessariamente essere redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o con scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.

Affinché tale contratto sia opponibile a terzi il professionista che autentica o riceve l’atto deve provvedere, entro dieci giorni, a trasmetterne copia al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi del regolamento di cui al d.p.r. 223/1989.

Il contratto di convivenza non tollera l’apposizione di termini e condizioni e potrà essere modificato in qualsiasi momento, purché sempre nelle forme dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata. Se una delle due parti era già precedentemente legata da un vincolo coniugale o da un’unione civile o da un altro contratto di convivenza, il successivo contratto di convivenza sarà affetto da nullità insanabile.

Parimenti non sono ammessi a stipulare un contratto di convivenza i minorenni, gli interdetti giudiziali, coloro che hanno subito condanne per il delitto di cui all’art. 88 c.c. (in base al quale non possono contrarre matrimonio tra loro persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra).

Gli effetti rimangono invece sospesi se il procedimento di interdizione giudiziale è pendente o nel caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il delitto di cui all’articolo 88 c.c., sino alla pronuncia di proscioglimento.

Quando si risolve il contratto di convivenza?

Oltre che nell’ipotesi di morte di una delle parti, anche nel caso in cui uno dei contraenti contragga matrimonio o si unisca civilmente con un’altra persona, nonché nell’ipotesi di mutuo consenso o per volontà di recesso manifestata unilateralmente da una delle parti.

Nel caso di decesso di uno dei contraenti, quello superstite o gli eredi del defunto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l’estratto dell’atto di morte affinché provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l’avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all’anagrafe del comune di residenza.

Nel caso invece di matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona, quello che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all’altro, nonché al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l’estratto di matrimonio o di unione civile.

Nel caso di mutuo consenso, i conviventi dovranno entrambi sottoscrivere un documento, autenticato dal notaio o dall’avvocato, con cui invalidano il precedente accordo.

Nel caso, infine, di recesso di una sola delle parti, il convivente deve rendere una dichiarazione avanti un notaio o autenticata da un notaio o da un avvocato, i quali ne cureranno poi la notifica all’altro contraente.

Se, tuttavia, la casa familiare è di proprietà di colui che recede unilateralmente, o è comunque nella sua esclusiva disponibilità, la dichiarazione di recesso dovrà concedere al convivente un termine, non inferiore a novanta giorni, per lasciare l’abitazione, a pena di nullità.

La legge Cirinnà ha infine inserito nella Legge 218 del 1995 un nuovo art. 30 bis, secondo cui, in caso di conflitto di norme applicabili ad una convivenza tra soggetti aventi nazionalità diversa, si dovrà applicare la legge del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata, salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima.

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