La reiterazione di comportamenti violenti a scuola nei confronti di bambini affidati alle maestre integra il più grave reato di maltrattamenti e non il reato di abuso dei mezzi di correzione

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L’uso sistematico della violenza da parte dell’insegnante, quale ordinario trattamento del minore affidatole, integra la fattispecie di maltrattamenti in famiglia e non quella meno grave di abuso dei mezzi di correzione.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione Penale, sezione VI, con la sentenza del 7 settembre 2017, n. 40959.

“L’animus corrigendi” ovvero l’intento educativo quando sproporzionato, come nel caso in esame,  fuoriesce dall’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione e concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti: ciò, in quanto non si può perseguire un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di convivenza, utilizzando un mezzo violento che tali fini contraddice.

La pronuncia della Corte di Cassazione trae origine dalla vicenda che ha visto coinvolte due maestre di asilo, incriminate per aver posto in essere comportamenti lesivi dell’incolumità fisica ed affettiva dei bambini a loro affidati, le quali avevano proposto ricorso per Cassazione a seguito della sostituzione della misura coercitiva degli arresti domiciliari con quella della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio per la durata di mesi dodici. Con il ricorso veniva censurata in modo particolare la carenza di motivazione dell’impugnata ordinanza, in ordine alla denunciata mancanza di abitualità nelle condotte delle indagate, la violazione di legge, l’omessa considerazione dell’animus corrigendi.

La Cassazione rigettando il ricorso per manifesta infondatezza dei motivi proposti, ha ritenuto correttamente qualificato il fatto contestato, rientrando appieno nella fattispecie di maltrattamenti il clima di tensione emotiva sistematicamente instaurato all’interno delle classi dalle maestre, connotato da urla, reazioni esagerate aventi ad oggetto la punizione degli alunni, nonché episodi di compressione fisica di varia intensità (quali tirate di capelli), tradottisi in alcuni casi nell’utilizzo di violenza fisica di apprezzabile entità.

“Il termine correzione, precisa la Corte, va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati conformativi di ogni processo educativo, in ogni caso non può ritenersi tale l’uso della violenza finalizzata a scopi educativi: ciò sia per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di convivenza, utilizzando un mezzo violento che tali fini contraddice” (cfr. Cass. n. 4904/1993).

Da ciò si evince che laddove fosse configurato il reato di abuso dei mezzi di correzione deve sussistere una sproporzione delle modalità educative rispetto alla gravità del comportamento e che in ogni caso non devono sussistere i trattamenti lesivi dell’incolumità fisica ovvero afflittivi del minore.

L’intenzione dell’agente di agire esclusivamente per finalità educative e correttive non costituisce un elemento dirimente per far rientrare il sistematico ricorso ad atti di violenza commessi nei confronti di minori nel meno grave reato di abusi dei mezzi di correzione anziché nel reato di maltrattamenti in quanto il nesso tra mezzo e fine di correzione va valutato sul piano oggettivo; deve pertanto essere escluso che l’uso sistematico della violenza quale ordinario “trattamento” del minore, sia pure sostenuto da “animus corrigendi”, possa rientrare nell’ambito del reato di abuso dei mezzi di correzione in considerazione della sicura illiceità di tale uso.

 

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