La sindrome da alienazione parentale: il Giudice deve verificare in concreto il comportamento del coniuge separato che impedisce all’altro genitore la conservazione del rapporto con i figli minori

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La sindrome da alienazione parentale, la c.d. “PAS”, è un argomento complicato sulla cui esistenza scientifica ancora si controverte. Secondo la Cassazione però, nel momento in cui un genitore ritenga di denunciare comportamenti ostili da parte dell’altro genitore volti ad ostacolare l’esercizio della sua responsabilità genitoriale, a prescindere dalle controversie di natura scientifica che non sono di competenza dei giudici, bisogna verificare in concreto i motivi, le modalità e l’entità di tali comportamenti.

Questo è quanto ha statuito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6919 del 2016 accogliendo il ricorso di un padre che riteneva colpevole il comportamento della moglie, la quale era riuscita a mettergli contro la figlia fino al punto che quest’ultima si rifiutava di vederlo.

La sentenza prende avvio dalla fine di una convivenza e dal conseguente provvedimento di affido condiviso della figlia minore con collocamento prevalente presso la madre. Successivamente il padre, di fronte alle tensioni sempre crescenti nel rapporto con la figlia e i suoi ripetuti rifiuti di incontrarlo, si è rivolto al Tribunale di Milano denunciando la situazione riconducendo i comportamenti ostili della figlia ad una campagna denigratoria perpetrata dalla madre nei confronti del padre, situazione riconducibile a suo avviso alla c.d. sindrome da alienazione parentale. In quell’occasione il giudice aveva dato torto al padre lasciando inalterata di fatto la situazione.

 A quel punto il padre era ricorso in Cassazione eccependo violazione e falsa applicazione dell’art. 155 c.c. (disciplina oggi contenuta nell’art. 337 ter c.c.) nella parte in cui prevede il principio della bigenitorialità, il diritto cioè dei figli di mantenere un significativo rapporto con entrambi i genitori anche e soprattutto in costanza di separazione. Il ricorrente eccepiva anche l’omesso esame di fatti decisivi da parte dei giudici i quali avevano ignorato il comportamento della madre la quale aveva avuto un ruolo determinante nel logoramento del rapporto padre-figlia.

La Cassazione con la sentenza in esame ha accolto le rimostranze del padre ribadendo innanzitutto che determinante in questi casi è sempre e comunque l’interesse del minore che deve essere tutelato al di sopra di tutti gli altri interessi in gioco; tenendo sempre a mente ciò, il ruolo dei Giudici è quello di prendere decisioni a favore della prole valutando la capacità dei genitori di crescere ed educare i figli nella nuova situazione creatasi a seguito della disgregazione del nucleo familiare.

Tra i requisiti da valutare bisogna, anche e soprattutto, tenere conto della capacità di riconoscere e rispettare le esigenze affettive dei figli anche attraverso “la continuità delle relazioni parentali attraverso il mantenimento della trama familiare, al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa sull’altro genitore”.

Secondo la Corte quindi, al di là delle valutazioni di tipo scientifico sulla validità o meno delle teorie sulla PAS che non competono agli operatori del diritto, è doveroso valutare in concreto l’esistenza, l’entità e la modalità di comportamenti finalizzati alla creazione di un divario fisico e morale tra padre e figlia ad opera dell’altro coniuge; a tal fine devono essere utilizzati i mezzi di prova comuni, comprese le presunzioni.

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