La sottoscrizione del dipendente per ricevuta della busta paga non prova l’avvenuto pagamento della retribuzione da parte del datore di lavoro

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La sottoscrizione “per ricevuta”, apposta dal lavoratore sulla busta paga non implica, in maniera univoca, l’effettivo pagamento della somma indicata nel medesimo documento, non integrando detta dizione un’espressione tale da giustificare la sola interpretazione letterale, ma un’interpretazione complessiva alla stregua anche degli ulteriori criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c. (cfr. Cass. Sez. Lav., Sent. n. 6267/98).

In tal senso si è espresso di recente il Tribunale di Bari, rifacendosi ad un orientamento consolidato della Suprema Corte di Cassazione, in merito al ricorso depositato da una dipendente per il pagamento di differenze retributive che assumeva di non avere mai percepito, nonostante avesse provveduto a sottoscrivere per ricevuta le relative buste paga, che attestavano il pagamento dell’intera somma. La ricorrente deduceva che la società datrice di lavoro era solita far sottoscrivere le buste paga alla dipendente, consegnandole all’atto del pagamento un assegno dell’importo indicato in contratto, ma contestualmente esigendo la restituzione di una somma di denaro, in modo da corrisponderle un importo inferiore rispetto a quello effettivamente dovuto.

Secondo la Cassazione, spetta al datore di lavoro dimostrare di aver pagato il dipendente, prova che deve essere fornita attraverso la documentazione prodotta agli atti, nel giudizio instaurato dal dipendente per ottenere le paghe non corrisposte.

La semplice consegna del prospetto paga ai lavoratori non è sufficiente per dimostrare l’avvenuto adempimento. Né è sufficiente la firma “per ricevuta”, apposta dal lavoratore medesimo sul cedolino: essa, infatti, non implica, in maniera univoca, l’effettivo pagamento della somma indicata nel medesimo documento, non integrando detta dizione un’espressione tale da giustificare la sola interpretazione letterale.

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