La Suprema Corte di Cassazione conferma la natura esimente della “crisi di liquidità” nel reato di omesso versamento iva
Con la sentenza n. 15235 del 1° febbraio 2017 la terza sezione penale della Suprema Corte conferma la possibilità di escludere la punibilità del sostituto d’imposta per omissione di versamento dell’iva ex art. 10ter del d.lgs. n. 74 del 2000 nel caso in cui il comportamento sia “imposto” da una grave crisi di liquidità in cui versa l’impresa.
Nel caso di specie l’imputata veniva condannata in appello per mancato versamento iva per un importo complessivo di 400.000 euro in riferimento all’anno 2010, essendo la stessa personalmente responsabile in qualità di amministratore unico e dunque sostituto d’imposta per la società s.r.l.
I giudici di legittimità accolgono il ricorso della ricorrente prendendo in considerazione la condotta di reato inserita nel complesso della situazione dell’imputata e delle vicende della società. Per quanto attiene alla prima questione si osserva come l’imputata fosse subentrata al marito deceduto, nella carica di amministratore unico della società, pochi mesi prima della scadenza del termine di versamento dell’iva e solo in un secondo momento avesse incominciato ad interessarsi in concreto della gestione della società venendo a conoscenza della gravissima situazione debitoria. Alle difficoltà economiche si aggiungeva l’oggettiva mancanza di liquidità: le somme delle vendita immobiliari di quell’anno risultavano vincolate per il mutuo gravante sui beni ed i titoli esistenti erano al pari inesigibili e non monetizzabili, poiché posti a garanzia degli impegni della società.
Sulla base di tali presupposti gli ermellini affermano che «costituisce costante indirizzo di legittimità quello per cui l’imputato possa invocare la assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto ».
Sono state ritenute cause idonee ad escludere l’elemento psicologico: a) l’inadempimento nei pagamenti dei crediti da parte dei terzi (con limitazione per i ritardi di pagamento da parte della PA in quanto in questi casi sulla base dell’art. 6 d.P.R. n. 633/1972 per le cessioni di beni e per le prestazioni effettuate a favore dello Stato e altri enti pubblici l’IVA diviene esigibile solo all’atto di pagamento dei relativi corrispettivi)[1]; b) la crisi economica non imputabile al contribuente e non adeguatamente fronteggiabile tramite misure idonee da valutarsi in concreto[2]; c) la diversità di soggetti tra chi doveva operare l’accantonamento e chi ha omesso il versamento penalmente rilevante[3].
Uno degli ostacoli al riconoscimento dell’esimente, infatti, si deve proprio all’individuazione da parte della giurisprudenza -sebbene contestato da una parte della dottrina- di un obbligo di accantonamento delle somme riscosse a fini iva da parte del contribuente: «le somme incassate a titolo di IVA sono destinate ad essere versate all’erario e non sono nella libera disponibilità del contribuente che dovrebbe, invece, accantonarle se non provvede al versamento periodico mensile o trimestrale e da tale incombenza non può ritenersi estraneo, in caso di successione tra amministratori di una società, colui che la rappresentava nel periodo antecedente alla scadenza del termine per il versamento, poiché la sua condotta potrebbe aver fornito un contributo causale alla commissione del fatto, creando materialmente i presupposti per il successivo omesso versamento» (Cass. pen., sez. III, 19.02.2013, n.12268).
Si sono tuttavia aperti degli spiragli per una maggiore sensibilità sulle gravi situazioni che imprese e società si ritrovano ad affrontare in anni di crisi economica e lenta ripresa.
[1] Vd. le sentenze del G.I.P. del Tribunale di Firenze del 27 luglio 2012, del Tribunale di Venezia n. 1573 del 5 gennaio 2013, del Tribunale di Trento n. 908 del 12 dicembre 2012; il G.I.P. presso il Tribunale di Milano sentenze del 19 settembre 2012 e 7 gennaio 2013; il Tribunale di Milano in composizione monocratica sentenze del 26 febbraio 2013 e 22 maggio 2013; il Tribunale di Novara con sentenza del 20 marzo 2013.
[2] Vd. le sentenze del Tribunale di Roma del 7 maggio e 12 giugno del 2013. Vd. SOANA G. L., Crisi di liquidità del contribuente ed omesso versamento di ritenute certificate e di Iva (artt. 10 bis e 10 ter d.lgs. n. 74/2000), in Dir.pen.contemporaneo, 2013: «il Giudice, nella prima parte della motivazione, afferma che l’omesso versamento delle ritenute o dell’IVA laddove sia avvenuto in presenza di una crisi di liquidità dell’azienda che ha determinato, al momento della scadenza del termine penalmente rilevante per il versamento delle imposte, un’impossibilità per il soggetto attivo del reato di versare il dovuto può essere non punibile ex art. 45 c.p. essendo corretto qualificare la crisi economica alla stregua di una forza esterna in grado di condizionare la condotta del sostituto di imposta, il quale non avrà alcuna possibilità se non quella di agire illecitamente. Affermato questo principio si precisa, tuttavia, che per valutare come presente la causa di non punibilità di cui all’art. 45 c.p. non sia sufficiente accertare la presenza di questa forza esterna dell’assenza di liquidità nell’impresa che impedisce di compiere l’azione doverosa ma è anche necessario verificare come richiesto dalla nozione di forza maggiore che trattasi di un fatto imprevisto ed imprevedibile e che il soggetto attivo abbia fatto quanto in suo potere per uniformarsi alla legge».
[3] Vd. la sentenza del Tribunale di Milano del 22 maggio 2013 in cui, nel caso di specie, l’amministratore era entrato in carica cinque mesi prime del termine ultimo per il versamento.
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