L’accordo di conciliazione in sede sindacale è davvero tombale?
Il verbale di conciliazione sindacale può essere impugnato in mancanza di una disciplina specifica nel CCNL ed in carenza di una effettiva assistenza da parte del rappresentante sindacale.
A stabilirlo per il momento è soltanto una sentenza del Tribunale di Roma (n. 4354/2019) relativa al caso di una dipendente che era ricorsa in giudizio deducendo l’invalidità del verbale di conciliazione sindacale dalla stessa sottoscritto, perché viziato da violenza morale, chiedendone conseguentemente l’annullamento ed il riconoscimento delle proprie pretese nei confronti del datore di lavoro. Il Giudice in accoglimento del ricorso ha verificato l’invalidità del verbale di conciliazione così come dedotto dalla ricorrente, ritenendola sussistente ma per motivi diversi da quelli indicati dalla lavoratrice.
Dal punto di vista formale il Giudice ha innanzitutto precisato che l’art. 412-ter c.p.c. nel prevedere che “la conciliazione e l’arbitrato, nelle materie di cui all’art. 409 c.p.c., possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative” ha esteso anche alle conciliazioni in sede sindacale l’inoppugnabilità prevista dall’art. 2113 ultimo comma c.c., attribuendo di fatto all’accordo raggiunto in sede protetta natura tombale.
La ratio della disposizione codicistica è infatti quella di assicurare, anche attraverso l’individuazione della sede e delle modalità procedurali, la pienezza di tutela del lavoratore in considerazione della portata che ha la conciliazione sindacale sui suoi diritti inderogabili e dell’inoppugnabilità della stessa, ovvero dell’impossibilità per il lavoratore – una volta sottoscritto l’accordo – di sollevare ulteriori contestazioni. A tale fine, l’art. 412-ter c.p.c. attribuisce valenza di conciliazioni in sede sindacale solo a quelle conciliazioni che avvengano con le modalità procedurali previste dai contratti collettivi e in particolare da quelli sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative. Ne consegue che il regime di inoppugnabilità concerne le sole conciliazioni sindacali espletate nelle sedi protette di cui all’ultimo comma dell’art. 2113 c.c., che richiama specificatamente l’art. 412-ter c.p.c. e dunque le sole conciliazioni sindacali che avvengono presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Nel caso oggetto di pronuncia il CCNL applicato al rapporto di lavoro, non conteneva una disposizione collettiva che regolamentasse la procedura di conciliazione sindacale, (e sono molti i settori ed i comparti ove tale procedura non è esplicitata), rendendo il contenuto del verbale di conciliazione ex art. 411 c.p.c. sottoscritto dalle parti impugnabile in quanto non conforme alle norme di legge (art. 412-ter c.p.c. e 2113 c.c.).
Oltre a tale aspetto formale, il giudice ha individuato anche un ulteriore profilo di invalidità sostanziale del verbale di conciliazione, relativo alla carenza di effettiva assistenza al lavoratore da parte dell’associazione sindacale intervenuta, che si era limitata soltanto a presenziare, mediante un proprio rappresentante, dando lettura al verbale, ma senza assicurarsi che la lavoratrice avesse effettivamente compreso la portata dell’accordo che stava sottoscrivendo. Per tale ragione, pur non essendo emersa una coartazione morale, nella vicenda è stato rilevato un mancato intervento di reale ed effettiva assistenza in favore della ricorrente da parte del sindacalista, avvalorato anche dalla circostanza che la dipendente rinunciava a fare valere i propri diritti e rivendicazioni nei confronti del datore di lavoro a fronte del riconoscimento della modesta somma di € 500,00=, che accettava quale contropartita alle proprie rinunzie.
Sia sotto il profilo formale, sia sotto il profilo sostanziale, quindi, il giudice ha ritenuto che la conciliazione, per le modalità con le quali si è svolta, fosse impugnabile, nel termine di sei mesi, dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, non ritenendo applicabile al caso di specie la deroga di cui all’ultimo comma dell’art. 2113 c.c..
Il verbale di conciliazione sindacale può essere impugnato in mancanza di una disciplina specifica nel CCNL ed in carenza di una effettiva assistenza da parte del rappresentante sindacale.
A stabilirlo per il momento è soltanto una sentenza del Tribunale di Roma (n. 4354/2019) relativa al caso di una dipendente che era ricorsa in giudizio deducendo l’invalidità del verbale di conciliazione sindacale dalla stessa sottoscritto, perché viziato da violenza morale, chiedendone conseguentemente l’annullamento ed il riconoscimento delle proprie pretese nei confronti del datore di lavoro. Il Giudice in accoglimento del ricorso ha verificato l’invalidità del verbale di conciliazione così come dedotto dalla ricorrente, ritenendola sussistente ma per motivi diversi da quelli indicati dalla lavoratrice.
Dal punto di vista formale il Giudice ha innanzitutto precisato che l’art. 412-ter c.p.c. nel prevedere che “la conciliazione e l’arbitrato, nelle materie di cui all’art. 409 c.p.c., possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative” ha esteso anche alle conciliazioni in sede sindacale l’inoppugnabilità prevista dall’art. 2113 ultimo comma c.c., attribuendo di fatto all’accordo raggiunto in sede protetta natura tombale.
La ratio della disposizione codicistica è infatti quella di assicurare, anche attraverso l’individuazione della sede e delle modalità procedurali, la pienezza di tutela del lavoratore in considerazione della portata che ha la conciliazione sindacale sui suoi diritti inderogabili e dell’inoppugnabilità della stessa, ovvero dell’impossibilità per il lavoratore – una volta sottoscritto l’accordo – di sollevare ulteriori contestazioni. A tale fine, l’art. 412-ter c.p.c. attribuisce valenza di conciliazioni in sede sindacale solo a quelle conciliazioni che avvengano con le modalità procedurali previste dai contratti collettivi e in particolare da quelli sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative. Ne consegue che il regime di inoppugnabilità concerne le sole conciliazioni sindacali espletate nelle sedi protette di cui all’ultimo comma dell’art. 2113 c.c., che richiama specificatamente l’art. 412-ter c.p.c. e dunque le sole conciliazioni sindacali che avvengono presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Nel caso oggetto di pronuncia il CCNL applicato al rapporto di lavoro, non conteneva una disposizione collettiva che regolamentasse la procedura di conciliazione sindacale, (e sono molti i settori ed i comparti ove tale procedura non è esplicitata), rendendo il contenuto del verbale di conciliazione ex art. 411 c.p.c. sottoscritto dalle parti impugnabile in quanto non conforme alle norme di legge (art. 412-ter c.p.c. e 2113 c.c.).
Oltre a tale aspetto formale, il giudice ha individuato anche un ulteriore profilo di invalidità sostanziale del verbale di conciliazione, relativo alla carenza di effettiva assistenza al lavoratore da parte dell’associazione sindacale intervenuta, che si era limitata soltanto a presenziare, mediante un proprio rappresentante, dando lettura al verbale, ma senza assicurarsi che la lavoratrice avesse effettivamente compreso la portata dell’accordo che stava sottoscrivendo. Per tale ragione, pur non essendo emersa una coartazione morale, nella vicenda è stato rilevato un mancato intervento di reale ed effettiva assistenza in favore della ricorrente da parte del sindacalista, avvalorato anche dalla circostanza che la dipendente rinunciava a fare valere i propri diritti e rivendicazioni nei confronti del datore di lavoro a fronte del riconoscimento della modesta somma di € 500,00=, che accettava quale contropartita alle proprie rinunzie.
Sia sotto il profilo formale, sia sotto il profilo sostanziale, quindi, il giudice ha ritenuto che la conciliazione, per le modalità con le quali si è svolta, fosse impugnabile, nel termine di sei mesi, dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, non ritenendo applicabile al caso di specie la deroga di cui all’ultimo comma dell’art. 2113 c.c..
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