L’assegnazione della casa familiare attribuisce al genitore collocatario dei figli minori un diritto personale di godimento ma è possibile ottenere la predetta assegnazione anche in caso di affidamento paritario dei figli minori in caso di separazione o divorzio

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Il nostro ordinamento prevede, in mancanza di diverso accordo tra i coniugi o i conviventi, l’assegnazione della casa familiare al genitore con il quale i figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti convivono in via prevalente.

L’obiettivo è quello di tutelare esclusivamente l’interesse dei figli a conservare il loro habitat domestico. Si applica nei procedimenti di separazione dei coniugi, di divorzio, ma anche in quelli relativi ai figli nati da coppie non sposate.

L’assegnazione della casa familiare attribuisce un diritto personale di godimento, che prescinde dalla proprietà dell’abitazione in capo ad uno o ad entrambi i genitori ovvero a soggetti terzi.

Perciò, se l’immobile è:

– di proprietà di uno solo dei genitori, egli dovrà comunque lasciarlo al genitore con il quale i figli abitano principalmente;

– in comproprietà tra i genitori, vale il medesimo principio di tutela;

– in locazione, il genitore assegnatario subentra nel contratto in essere;

– concesso in comodato e destinato alle esigenze della famiglia, il comodante deve consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevedibile bisogno.

Per le stesse finalità di protezione dei figli è previsto che gli arredi presenti nella casa familiare, necessari al soddisfacimento delle loro esigenze, vi rimangano, indipendentemente dalla proprietà.

Gli immobili diversi dalla casa familiare al momento della cessazione della convivenza tra i genitori, invece, non possono essere oggetto di assegnazione: sono escluse, ad esempio, le case di villeggiatura al mare o in montagna.

L’assegnazione è comunque un beneficio soggetto a modifiche. Tale diritto, infatti, può venire meno quando l’assegnatario:

1) non abita più stabilmente nella casa familiare (perché, ad esempio, si trasferisce a casa del/a nuovo/a compagno/a);

2) conviva more uxorio o abbia contratto un nuovo matrimonio;

3) cessa la convivenza con i figli (perché, una volta indipendenti, questi ultimi costituiscono una loro famiglia o si trasferiscono in un’altra città o all’estero per motivi di studio. In questo ultimo caso, tuttavia, non è sufficiente che i figli vadano all’università “fuori sede”, se periodicamente fanno ritorno da mamma o da papà).

In ognuno di questi casi la revoca del diritto di godimento non è automatica, ma sempre subordinata ad un giudizio di conformità all’interesse del figlio, che può essere attivato mediane una istanza di revisione o modifica dei provvedimenti giudiziari.

L’assegnazione della casa familiare ha efficacia anche al di fuori dei rapporti tra ex coniugi o ex conviventi. Si tratta, infatti, di un provvedimento trascrivibile ed opponibile a terzi, per tutelare il genitore assegnatario da eventuali cessioni poste in essere dall’ex che ne è proprietario o da azioni esecutive promosse dai suoi creditori, in caso di comproprietà, o dai creditori del proprietario esclusivo.

Se il provvedimento non viene trascritto è opponibile al terzo acquirente dell’immobile per nove anni; mentre se viene trascritto è opponibile oltre i nove anni. Questo significa che, nel caso di vendita dell’immobile assegnato al genitore convivente con i figli, l’eventuale acquirente otterrà la proprietà dell’immobile ma non potrà entrarne in possesso sino alla revoca del provvedimento di assegnazione.

In presenza di situazioni delicate è, inoltre, assolutamente consigliabile trascrivere tempestivamente il diritto di godimento nei registri immobiliari prima che i creditori vi iscrivano ipoteca. Infatti, qualora l’ipoteca fosse iscritta prima della trascrizione del provvedimento di assegnazione, il creditore potrebbe procedere coattivamente alla vendita dell’immobile come se fosse libero.

Come abbiamo visto più sopra, l’assegnazione della casa familiare è subordinata alla tutela dell’interesse della prole a permanere nel proprio habitat domestico, indipendentemente dal diverso titolo di proprietà, con la conseguenza che il genitore proprietario del bene è costretto a subire la compromissione del proprio diritto reale in favore dell’ex coniuge o ex convivente e della prole. Ma cosa succede nel caso in cui il collocamento dei minori sia in sostanza paritario, non essendovi un genitore principale presso il quale i figli siano prevalentemente collocati. In passato la casa rimaneva quasi sempre alla madre, con la quale abitavano i figli, mentre il padre li vedeva solo nei weekend e/o per un giorno alla settimana.

Negli ultimi anni, dopo l’introduzione dell’affidamento condiviso, la realtà è molto cambiata: i ruoli della donna e dell’uomo sono tendenzialmente parificati, non solo nel mondo del lavoro ma anche nell’ambiente domestico. Sempre più di frequente si assiste ad una ripartizione dei tempi con i figli pressoché paritaria, ove la madre e il padre trascorrono con loro circa la metà del mese, alternando le settimane l’uno con l’altro, oppure prevedendo una particolare turnazione dei giorni. In questi casi l’assegnazione della casa diventa un argomento ancora più scottante.

In questi casi, non essendoci un genitore collocatario “principale”, si discute su chi abbia il diritto di godere della casa familiare. La giurisprudenza di merito non è univoca: ogni caso è unico nel suo genere e va valutato come tale. Interessante e allo stesso tempo discutibile – in quanto allo stato difficilmente conciliabile con quanto detto finora – è il recente orientamento del Tribunale di Brindisi, le cui linee guida di marzo 2017 mirano ad applicare nel concreto l’affidamento condiviso (con ripartizione dei tempi genitori-figli al 50%) e ad escludere l’assegnazione della casa familiare, che seguirà quindi il titolo di proprietà. Nel caso in cui i genitori siano comproprietari, si dovrà valutare quale sia il costo della locazione di un immobile con caratteristiche simili e al genitore che non vi abita più dovrà essere scontato il 50% di tale importo nel calcolo del mantenimento.

In ogni caso, il terreno più idoneo per la ricerca di soluzioni alternative all’assegnazione della casa familiare nel senso indicato dalla legge è la sede delle trattative. Qui è possibile considerare non solo l’interesse dei figli, ma anche altri fattori quali quelli psicologici ed affettivi, o meramente economici e pratici. Nello specifico, le decisioni adottate hanno riguardato ad esempio:

– l’assegnazione parziale della casa familiare, limitando il diritto di godimento ad una porzione dell’immobile, in assenza di conflitto genitoriale;

– la divisione dell’immobile in comproprietà, con cessione della quota a uno dei due coniugi;

– la cessione della nuda proprietà dell’immobile ai figli, con usufrutto riservato ad un solo genitore;

– l’acquisto di un immobile nuovo per il coniuge non proprietario, specie se tra i coniugi vi è una disparità reddituale e patrimoniale;

– la costituzione di un trust o di un vincolo di destinazione.

Va peraltro tenuto a mente che i trasferimenti immobiliari nell’ambito di un accordo separativo o divorzile possono rivelarsi particolarmente convenienti, anche perché godono dell’esenzione da imposte e tasse.

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