L’assegno di divorzio “una tantum” esclude ogni altra richiesta economica da parte dell’ex coniuge
La possibilità riconosciuta dall’art. 5 n. 8 della Legge sul Divorzio n. 898/1970 di prevedere la corresponsione in un’unica soluzione dell’assegno divorzile, qualora sussista l’accordo delle parti manifestato attraverso la proposizione di una domanda congiunta di divorzio, deve essere adeguatamente dedotta con riguardo alle condizioni economiche dei coniugi, al fine di ottenere l’autorizzazione da parte del Tribunale.
Stabilisce difatti la Corte di Cassazione con una recente sentenza del 27/11/2013 n. 26491 che l’assegno periodico di divorzio presenta carattere esclusivamente assistenziale, in quanto volto a consentire al coniuge privo di adeguati mezzi ed impossibilitato oggettivamente a procurarseli, di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, pertanto la liquidazione in concreto dell’assegno deve essere effettuata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge.
Più precisamente, i fattori di cui si deve tener conto ai fini della valutazione di equità del versamento “una tantum” da parte dell’Autorità Giudiziaria sono l’idoneità dell’importo quantificato, il diritto all’assegno, l’assenza di mezzi adeguati da parte del coniuge economicamente più “debole”, il tenore di vita coniugale e le potenzialità economiche dei coniugi.
La corresponsione in un’unica soluzione dell’assegno di divorzio può concretizzarsi, oltre che in una determinata somma di denaro, anche nell’attribuzione di beni mobili ed immobili in proprietà o in godimento, o nell’impegno al trasferimento di tali diritti, come riconosciuto dalla giurisprudenza prevalente (Cassazione Civile sentenza n. 12939/2003).
La sentenza del Tribunale che recepisce l’accordo delle parti sulla corresponsione “una tantum”, oltre a costituire titolo esecutivo, idoneo ad ottenere il trasferimento dei beni e ad essere trascritto con la relativa opponibilità a terzi, esclude la possibilità di svolgere in futuro qualsiasi altra successiva domanda di contenuto economico e ciò proprio in virtù del carattere dispositivo dell’attribuzione, che comporta la sua sottoposizione alle norme sui contratti anziché a quelle sull’assegno di divorzio (Cassazione Civile n. 12939/2003).
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