L’azione di disconoscimento della paternità. Il figlio nato durante matrimonio non è mio: padre per forza?
Il codice civile stabilisce che ricorre lo stato di figlio legittimo quando concorrono i seguenti presupposti: un matrimonio valido o putativo tra i genitori, che il figlio sia partorito dalla donna sposata, la paternità del marito ed infine il concepimento in costanza di matrimonio.
La prova del matrimonio risulta di agevole accertamento (con l’atto di matrimonio), così come pure quella della maternità per la quale opera il principio della mater semper certa est, invece per accertare che il figlio sia stato concepito dal legittimo marito ed in costanza di matrimonio la legge ricorre a due presunzioni: la presunzione di paternità ex art. 231 c.c. e la presunzione di concepimento ex art.232 c.c.
Mentre la presunzione di concepimento è assoluta, quindi non ammette prova contraria, la presunzione di paternità è una presunzione cosiddetta iuris tantum, ammette cioè la prova contraria nei casi in cui è esperibile il rimedio del disconoscimento di paternità ex art. 235 c.c.
L’azione di disconoscimento di paternità, disciplinata dagli artt. 235 ss. c.c., permette al padre di disconoscere il figlio nato in costanza di matrimonio, in determinate ipotesi tassativamente elencate dalla legge, tra le quali è elencata l’ipotesi di adulterio da parte della moglie. In sostanza il marito che avesse prove certe relativamente alla non paternità dei propri figli, può contestare la presunzione normalmente operante.
Attenzione però, perché l’azione di disconoscimento non è esperibile in qualsiasi tempo, perché soggetta a termini di decadenza per garantire un certo grado di stabilità nei rapporti familiari: l’art. 244 co 2 c.c. prevede infatti che “il marito possa disconoscere il figlio nel termine di un anno decorrente dal giorno della nascita di quest’ultimo, se presente, o se assente, dal momento del suo ritorno o dalla conoscenza della sua nascita”.
In realtà, l’applicazione pratica dell’azione in parola si è arricchita grazie a due interventi della Corte Costituzionale, che dapprima ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 244 c.c. nella parte in cui non dispone che il termine per l’azione di disconoscimento decorra dal giorno in cui il marito è venuto a conoscenza dell’adulterio della moglie; ed in seguito, ha nuovamente dichiarato costituzionalmente illegittima la norma nella parte in cui non dispone che l’azione di disconoscimento possa essere promossa entro un anno dalla conoscenza dell’impotenza solo di generare del marito stesso (Corte Cost., 6 maggio1985, n. 134; Corte Cost., 14 maggio 1999, n. 170).
La Corte di Cassazione si è uniformata precisando inoltre che il termine di un anno per la proposizione dell’azione di disconoscimento della paternità previsto dall’art. 244 co 2 c.c. decorre, in caso di adulterio, dal giorno della scoperta di esso, anziché da quello della nascita del figlio (o della scoperta di quest’ultima), nell’ipotesi in cui detta scoperta sia avvenuta successivamente alla nascita, mentre la decorrenza del termine in parola resta quella fissata dal tenore del citato articolo, nella diversa ipotesi in cui la conoscenza dell’adulterio si sia verificata in epoca anteriore a tale evento (Cass. civ., sez. I, 23 ottobre 2008, n.25623).
Per “scoperta” deve intendersi, poi, non un mero sospetto di adulterio, bensì l’acquisizione certa della conoscenza di un atto rappresentato da una vera e propria relazione, o da un incontro comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio (Cass. civ., 23 aprile 2003, n. 6477; Corte Europea Dir. Uomo 24 novembre 2005; Cass. civ., n.4090/2005; Cass. civ., n.15777/2010; Cass. civ, sentenza n. 7581 del 26 marzo 2013).
Occorre aggiungere poi che mentre l’accertata impotenza del marito in riferimento al periodo di coabitazione dei coniugi costituisce anche prova della non paternità determinando l’accoglimento della domanda, la prova dell’adulterio della moglie non esclude di per sé la paternità del marito. Quest’ultima rappresenta solamente un fatto indiziario da solo non sufficiente ad escludere che il figlio sia stato generato dal marito, sicché la prova della non paternità dovrà essere fornita facendo ricorso ad altri mezzi, in particolare facendo ricorso alle prove tecniche (art. 235 co 1, n.3 c.c.). Essenzialmente, ci si riferisce alla prova del DNA, al fine di dimostrare che il figlio presenta caratteristiche genetiche incompatibili con quelle del presunto padre.
Sul punto si è aperto un dibattito giurisprudenziale relativamente al fatto se la prova dell’adulterio dovesse essere considerata indispensabile per l’esperibilità delle prove tecniche : la Corte Costituzionale è intervenuta, da un lato rilevando l’irragionevolezza di subordinare l’ingresso delle prove tecniche alla prova dell’adulterio, in quanto queste, consentono da sole di accertare se il figlio è nato o meno da colui che è considerato padre legittimo; dall’altro che ciò si risolverebbe in un sostanziale impedimento del diritto di azione garantito dall’art. 24 Cost. (Corte Cost., 6 luglio 2006, n. 266).
La successiva giurisprudenza di legittimità ha applicato i nuovi principi in materia di adulterio, stabilendo che è possibile procedere agli accertamenti genetici ed ematologici indipendentemente dalla prova di adulterio della moglie (Cass. civ., sez. I, 3 aprile 2007, n. 8356; Cass. civ., sez. I, 22 febbraio 2007, n. 4175), in ogni caso la decorrenza dei termini per l’azione di disconoscimento continua a partire dal momento della conoscenza dell’adulterio e non dalla raggiunta certezza negativa della paternità biologica (Cass. civ., sez. I, 6 giugno 2008, n. 15088; Cass. civ., sez. I, 23 ottobre 2008, n. 25623; Cass. civ., 17 luglio 2011, n. 15568).
L’eventuale sentenza che dovesse accogliere la domanda di disconoscimento ha effetti retroattivi: comporta la perdita dello stato di figlio legittimo, l’assunzione dello stato di figlio naturale della sola madre e di conseguenza l’assunzione del cognome della madre fino ad un eventuale riconoscimento da parte del padre naturale.
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