Le spese di ristrutturazione dell’immobile in comproprietà dei coniugi effettuata successivamente alla separazione vanno ripartite tra i coniugi al 50% se necessarie e/o condivise da entrambi
Il coniuge che si sobbarca le spese per la ristrutturazione dell’immobile comune, potrà richiedere il rimborso soltanto delle spese sostenute in un periodo successivo alla separazione. Non assume, difatti, alcun rilievo il fatto che l’immobile in questione sia stato comprato con denaro di uno solo dei coniugi, poiché in costanza di matrimonio deve presumersi la sussistenza di una donazione indiretta.
In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, sez. III civile, con l’ordinanza del 04/10/2018 n. 24160, con la quale ha accolto parzialmente il ricorso di una donna, che in seguito alla separazione personale dal marito, aveva convenuto quest’ultimo al fine di ottenere il riconoscimento del suo diritto alla riscossione della metà dei canoni di locazione di due appartamenti cointestati ad entrambi i coniugi.
Il Tribunale aveva accolto le domande della donna, mentre aveva rigettato quelle del marito.
In sede di appello, tuttavia, la Corte territoriale, da un lato, aveva confermato che l’ex coniuge dovesse alla moglie una somma per l’indebita percezione in via esclusiva dei canoni di locazione e, dall’altro lato, aveva condannato la signora a restituire al marito una somma a titolo di indebito arricchimento pari alla metà delle spese sostenute dall’uomo per il completamento dell’immobile.
L’ex marito aveva infatti dedotto, in via riconvenzionale, che l’immobile in cui si trovavano gli appartamenti fosse di sua esclusiva proprietà, in quanto acquistato con proprio denaro in costanza di matrimonio in regime di separazione dei beni e solo fiduciariamente cointestato alla moglie, chiedendo, altresì, la condanna della ex moglie alla restituzione dei canoni eventualmente percepiti, nonché alla corresponsione di metà delle spese sostenute per la finitura degli immobili acquistati al grezzo.
Con riferimento alla questione relativa all’intestazione meramente fiduciaria degli immobili alla moglie la Corte di Cassazione, adita da quest’ultima con ricorso, ha ritenuto sussistere l’animus donandi del marito al momento della cointestazione, qualificando, pertanto, l’atto con cui lo stesso ha fornito il denaro alla moglie, affinché divenisse con lui comproprietaria degli immobili, come una donazione indiretta. Osserva la Corte che se unico è il fine, di liberalità, della donazione indiretta, diverso può essere il mezzo attraverso questa si può esplicare, non limitato al più tipico e ricorrente, ovvero il conferimento dell’intera somma di denaro necessaria per un determinato acquisto. In particolare, nel caso di acquisto di un immobile da parte di un soggetto, con denaro fornito da un terzo per spirito di liberalità, si configura una donazione indiretta, che si differenzia dalla simulazione, giacché l’attribuzione gratuita viene attuata, quale effetto indiretto, con il negozio oneroso che corrisponde alla reale intenzione delle parti (cfr. Cass. n. 1986 del 2016).
A proposito dell’altra questione, ovvero se il coniuge comproprietario che sostenga per intero spese di finitura o relative a migliorie all’interno dell’immobile cointestato, possa ripetere dall’altro coniuge la metà di quanto ha pagato ed eventualmente a quali condizioni, la Corte effettua una precisazione sulla donazione indiretta, spiegando che, in quanto tale, gode di stabilità, non potendo essere revocata che per ingratitudine. A fronte della sussistenza di una causa di liberalità, dunque, si applicano i principi dell’obbligazione naturale per giustificare l’effetto della soluti retentio, ovvero l’irripetibilità dei conferimenti spontaneamente eseguiti dal coniuge in costanza di matrimonio.
La Cassazione sottolinea, tuttavia, che analoga finalità di liberalità in favore del coniuge non può automaticamente attribuirsi ai pagamenti fatti o alle spese sostenute per l’immobile in comproprietà anche dopo la separazione.
Spetterà quindi al giudice del merito distinguere i pagamenti effettuati e le spese sostenute in costanza di matrimonio e prima che sia intervenuta la separazione personale delle parti da quelli effettuati dal marito successivamente.
Eventuali conferimenti e spese successive alla separazione, non sussistendo la finalità di liberalità, dovranno essere considerati esclusivamente spese sostenute da uno dei comproprietari in favore del bene in comunione. Dunque, il giudice dì merito dovrà valutare se la moglie possa essere condannata a restituirne il 50% al marito facendo applicazione delle regole ordinarie applicabili in materia di comunione ordinaria.
La Suprema Corte precisa, in aggiunta, che il coniuge comproprietario non avrà in ogni caso e illimitatamente il diritto di ripetere il 50% delle spese che ha sostenuto per la conservazione e il miglioramento della cosa comune, ma solo allorquando abbia avvisato preliminarmente l’altro comproprietario e quest’ultimo, a fronte di un intervento necessario, sia rimasto inerte, così come previsto dall’art. 1110 del c.c. in tema di spese di conservazione della cosa comune.
Se ne deduce, pertanto, che il coniuge comproprietario dopo la separazione avrà diritto di ripetere il 50% delle spese che ha sostenuto per la conservazione ed il miglioramento della cosa comune, purché abbia avvisato preliminarmente l’altro comproprietario e sempre che questi, a fronte di un intervento necessario, sia rimasto inerte. Non assume alcun rilievo il fatto che l’immobile sia stato acquistato con denaro di uno solo dei due, poiché in costanza di matrimonio deve presumersi la sussistenza di una donazione indiretta.
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