Licenziato per aver superato il periodo massimo di assenza di malattia
La tutela della salute del lavoratore garantisce la conservazione del posto di lavoro se non viene superato il cosiddetto periodo di comporto.
La salute in quanto diritto fondamentale riconosciuto dall’art. 32 della Costituzione deve essere tutelata anche e soprattutto nell’ambiente di lavoro in modo da impedire che il lavoratore possa essere danneggiato o possa rischiare di perdere il posto di lavoro per malattia o infortunio.
Il periodo di tempo concesso al lavoratore che debba assentarsi dal lavoro per malattia, infortunio, gravidanza o congedo di maternità è il c.d. comporto. Esistono due tipologie di periodo di comporto che possono essere previsti dai contratti collettivi nazionale di lavoro:
- Il comporto secco o comporto unitario, quando l’assenza del lavoratore si protragga per un periodo continuativo, per esempio in caso di malattia unica e continuativa senza interruzioni;
- Il comporto per sommatoria o frazionato, nel caso in cui vi siano più assenze frazionate nel corso del tempo. In questo caso, il contratto di lavoro può prevedere un intervallo di tempo – ad esempio 365 giorni calcolati a partire da qualsiasi giorno dell’anno – entro il quale la somma dei giorni di malattia non può superare un dato limite.
Per quanto riguarda il calcolo del periodo di comporto, sulla questione è intervenuta la Corte Suprema di Cassazione, sostenendo che devono essere calcolati anche i giorni non lavorativi che cadono nel periodo di malattia, poiché si presume che la stessa sia continuativa e dunque devono essere tenuti in considerazione anche i giorni festivi.
Poiché la salute è un diritto fondamentale del lavoratore che deve essere tutelato, la normativa prevede che, nel c.d. periodo di comporto, il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, nonostante l’esecuzione delle proprie prestazioni sia sospesa per motivi di salute.
Ciò significa che il datore di lavoro non può procedere alla risoluzione del contratto di lavoro, quindi non può procedere a licenziare il lavoratore quando questi chieda di usufruire del periodo di comporto, ma sarà comunque tenuto a corrispondere la retribuzione o l’indennità contrattualmente prevista.
Nel caso in cui il datore di lavoro proceda al licenziameTnto del lavoratore nel corso del periodo di comporto, tale atto deve ritenersi nullo.
Al divieto del licenziamento in questi casi vi è, tuttavia, una eccezione laddove intervenga una giusta causa di licenziamento nel corso del periodo di comporto: il datore di lavoro può comunque procedere al licenziamento del lavoratore in presenza di una giusta causa e non semplicemente di un giustificato motivo oggettivo o soggettivo.
Una volta decorso il periodo di comporto, tuttavia, il datore di lavoro può recedere dal contratto e dunque licenziare il lavoratore per superamento del periodo di comporto, che non richiede per il datore del lavoro di provarne la giusta causa, dal momento che la normativa considera condizione necessaria e sufficiente ai fini del recesso del datore il solo superamento del periodo di comporto da parte del lavoratore.
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