L’introduzione di una “presunzione di inerzia” a carico del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e destinatario di un assegno di mantenimento: il mutamento dell’onere della prova.

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La tematica, molto diffusa, relativa all’assegno di mantenimento che, in caso di separazione dei coniugi, viene corrisposto al figlio maggiorenne che non sia ancora economicamente autosufficiente è stata al centro di una serie di sentenze della Suprema Corte che è giunta a dare un orientamento pacifico in materia.
Innovativa, al riguardo, è però la recente sentenza del Tribunale di Roma (sent. n. 3434 del 13/02/2014) che, pur basandosi sugli orientamenti giurisprudenziali vigenti, introduce un elemento di novità volto a sgravare il genitore, tenuto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento, dall’onere di fornire la prova dell’autosufficienza economica del figlio.
Più in dettaglio, resta fermo l’obbligo, gravante sui genitori, di provvedere al mantenimento del figlio anche dopo il compimento del diciottesimo anno di età quando, per ragioni di studio o per altri motivi che dovranno essere valutati caso per caso dal Giudice, quali l’età, l’ambiente in cui vive, le condizioni di salute e altri, non sia in grado di provvedere autonomamente al soddisfacimento dei propri bisogni.
La novità, apportata dalla sentenza del Tribunale di Roma, consiste nell’introduzione di una sorta di “presunzione di inerzia” a carico del figlio maggiorenne che continua ad essere mantenuto dai genitori, presunzione che potrà essere superata, dallo stesso, solo dimostrando di aver fatto il possibile per provvedere alla ricerca di un impiego che gli consenta di essere autonomo sotto il profilo economico.
Viene quindi introdotta un’inversione dell’onere della prova: non spetterà più al genitore dimostrare l’autosufficienza economica del figlio al quale spetta l’assegno di mantenimento, ma spetterà a quest’ultimo fornire la prova di non riuscire a provvedere autonomamente ai propri bisogni, dimostrando, allo stesso tempo di essersi attivato per cercare un adeguato impiego, rimanendo orientamento consolidato in giurisprudenza che il rifiuto di lavori part-time o a tempo indeterminato vanno a costituire una prova dell’inerzia.

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