Gli ordini di protezione conto gli abusi familiari
Gli ordini di protezione sono disposti dal giudice quando la condotta del coniuge è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale dell’altro coniuge.
I presupposti per l’adozione degli ordini di protezione sono, quindi, la condotta lesiva della dignità della vittima mediante offese e maltrattamenti e l’ambiente familiare- domestico ove il soggetto agente è un coniuge o un convivente. La IX sezione civile del Tribunale di Milano con ordinanza del 30 giugno 2016 ha, infatti, chiarito che la condotta si configura sia a livello qualitativo che quantitativo e deve essere idonea a rappresentare una grave minaccia all’integrità fisica e morale per il futuro oltre a presentare efficacia offensiva determinata dalla sua ripetitività nel tempo.
Nonostante l’art. 342 bis e ter c.c. individui solo il coniuge o il convivente come soggetto che ponga in essere tale condotta, parte della giurisprudenza ha chiarito che il giudice possa adottare la misura anche nel caso in cui la convivenza sia cessata, limitandosi ad ordinare il divieto di avvicinamento ex art. 343 ter, comma 1, c.c.
Per quanto attiene il contenuto del provvedimento, l’ordine emanato dal giudice con decreto si articola, in via cumulativa o alternativa, nell’ordine di cessazione della condotta pregiudizievole e nell’allontanamento dalla casa familiare prescrivendo, altresì, l’inibitoria ad avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima, intesi quali il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia d’origine ovvero il domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone o in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia. Il Giudice può disporre, ancora, l’intervento dei servizi sociali o di un centro di mediazione familiare a sostegno delle vittime di maltrattamenti oltre a disporre il versamento di un assegno periodico di mantenimenti ai conviventi rimasti privi di mezzi adeguati a seguito dell’emanazione del provvedimento. Gli ordini di protezioni decorrono dal giorno dell’avvenuta esecuzione degli stessi e non possono avere durata superiore ad un anno.
Appare utile, infine, evidenziare che il nostro ordinamento non riconosce alcuna valenza scriminante a consuetudini culturali che ammettano o incentivino tali violenze o abusi, sia fisici che psicologici, perché in aperto contrasto con il principio sancito dalla Carta Costituzionale alla pari dignità sociale di tutti i cittadini previsto all’art. 3 Cost.
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