Misure di prevenzione e di contrasto nei confronti del fenomeno del “femminicidio”: la forma estrema di violenza di genere contro le donne

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Con il termine “femminicidio” si suole indicare il triste fenomeno dell’uccisione di una donna per mano di un uomo, per motivi legati al genere femminile della vittima, che costituisce un movente del crimine stesso, perpetuato nella maggior parte dei casi all’interno dell’ambiente familiare. Si tratta, pertanto, di un delitto di genere, assurto alla cronaca con sempre maggiore evidenza, che costituisce un sottoinsieme della totalità dei casi di omicidio, aventi un individuo di sesso femminile come vittima.

Questo termine è stato concettualizzato per la prima volta negli anni ’90, da parte di una antropologa e deputata messicana di nome Marcela Lagarde, la quale ha analizzato le violenze commesse nei confronti delle donne messicane, individuando le cause della loro marginalizzazione in una cultura maschilista e in una società che non dà tutele dal punto di vista giuridico, lasciando impunite le condotte violente perpetuate contro le donne e non considerando lo stupro coniugale come reato. Secondo la studiosa il termine “femminicidio”, oltre all’omicidio, racchiude anche tutte le discriminazioni e pressioni psicologiche di cui una donna può essere vittima. Lo definisce così: “La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine, che comportano l’impunità delle condotte poste in essere, tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine, dovute all’insicurezza ed al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia”.

Non è un caso che a coniare tale neologismo sia stata proprio una donna messicana, in quanto proprio nei confronti dello Stato del Messico, la Corte Intramericana per i Diritti Umani ha pronunciato nel 2009 una sentenza storica, conosciuta come la sentenza di “Campo Algodonero”, riconoscendo lo Stato Messicano responsabile per non avere adeguatamente prevenuto la morte di tre giovani donne, i cui corpi furono ritrovati, in seguito alla loro misteriosa scomparsa nella periferia di Ciudad Juarez.

Per la prima volta nella storia del diritto internazionale uno Stato venne ritenuto responsabile per i femminicidi avvenuti sul suo territorio, riconoscendo una sorte di identità giuridica al concetto di femminicidio, che riguarda ogni forma di violenza, maltrattamento o discriminazione compiuta nei confronti delle donne in quanto tali.

Da questa sentenza e sulla base del diritto internazionale consuetudinario ne deriva che non è sufficiente che uno Stato si limiti a proclamare il rispetto dei diritti fondamentali delle donne, ma deve anche attivarsi per assolvere al proprio obbligo di protezione di tali diritti, sia sul piano giuridico che in quello fattuale, predisponendo un quadro normativo e politico di prevenzione e contrasto alla violenza verso le donne, che sia in grado di arrestare tale fenomeno.

Per quanto riguarda l’Italia, il termine “femminicidio” non è ancora stato introdotto nel codice penale, ma negli ultimi anni si è assistito ad un sempre maggiore ampliamento degli strumenti di prevenzione e tutela a favore delle donne, non ancora sufficienti però a debellare il fenomeno.

In particolare, nel 2013 è stato adottato dal Governo il Decreto Legge n. 93 del 14/08/2013, successivamente convertito in Legge n. 119 del 15/10/2013, con il quale sono state introdotte diverse modifiche al codice penale ed a quello di procedura penale, inerenti a numerose fattispecie, tra cui quelle riferite alla violenza nei confronti delle donne. Il provvedimento arricchisce il codice di nuove aggravanti e amplia al contempo le misure a tutela delle vittime di maltrattamenti e violenza domestica. Il testo, inoltre, mette in campo risorse per finanziare un piano d’azione antiviolenza e la rete di case-rifugio.

La principale novità riguarda l’importanza riconosciuta, sul piano penale, al rapporto affettivo esistente tra vittima e aggressore, a prescindere da matrimonio o convivenza. Si aggiungono aggravanti per la violenza sessuale commessa a danno di donne in stato di gravidanza o verso il coniuge, anche se il matrimonio è stato sciolto. Si prevede l’arresto obbligatorio in caso di flagranza del reato di maltrattamenti in famiglia e l’Autorità Giudiziaria può procedere all’applicazione di misure “precautelari” concernenti l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare ed il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, monitorando l’autore del reato anche con l’uso di apparecchiature elettroniche, quali il braccialetto elettronico o le intercettazioni telefoniche, che consentano un controllo più stretto. Il questore, inoltre, in presenza di percosse o lesioni (considerati “reati sentinella”) può ammonire il responsabile, aggiungendo anche la sospensione della patente da parte del prefetto.

Sul piano processuale, a tutela della persona offesa, vengono previsti una serie di obblighi di comunicazione in linea con la direttiva europea sulla protezione delle vittime di reato. La persona offesa, ad esempio, dovrà essere informata della facoltà di nomina di un difensore e di tutto ciò che attiene alla applicazione o modifica di misure cautelari o coercitive nei confronti dell’imputato in reati di violenza alla persona. In analogia a quanto già accade in attuazione di direttive europee per le vittime di tratta, il permesso di soggiorno potrà essere rilasciato anche alle donne straniere che subiscono violenza, lesioni, percosse, maltrattamenti in ambito domestico. I maltrattanti (anche in caso di condanna non definitiva) potranno essere espulsi.

A prescindere dal reddito, le vittime di stalking, maltrattamenti in famiglia e mutilazioni genitali femminili potranno essere ammesse al gratuito patrocinio. Nella trattazione dei processi viene data priorità assoluta ai reati di maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, atti sessuali con minori, corruzione di minori e violenza sessuale di gruppo. Si accelerano anche le indagini preliminari, che non potranno mai superare la durata di un anno per i reati di stalking e maltrattamenti in famiglia.

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