Negato l’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne
La prima sezione civile della Cassazione con la sentenza n. 23590/2010 ha stabilito in materia di assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente la seguente massima:
“Il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato espletato attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un’adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore, atteso che non può avere rilievo il successivo abbandono dell’attività lavorativa da parte del figlio, trattandosi di una scelta che, se determina l’effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non può far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti erano già venuti meno.”
Trattasi di un orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione, che nel corso degli ultimi anni ha negato con sempre maggior rigore il diritto a favore del figlio maggiorenne, convivente con il genitore affidatario e non economicamente autosufficiente, a vedersi riconoscere l’assegno di mantenimento da parte dell’altro genitore.
Nelle varie pronunce che si sono nel tempo susseguite i giudici della Suprema Corte hanno rigettato la domanda in tal senso formulata sia nel ipotesi in cui il figlio fosse divenuto nuovamente non economicamente autosufficiente a seguito della negatività dell’andamento dell’attività commerciale dal medesimo espletata, sia in casi nei quali pur essendo stato il figlio messo in condizioni concrete per conseguire l’indipendenza economica non abbia raggiunto tale risultato per un suo comportamento colposo ed inerte. Esemplare la decisione della Corte nel rifiutare la concessione dell’emolumento nei confronti di un figlio maggiorenne che non era in grado di rendersi economicamente autosufficiente a causa dei suoi problemi caratteriali e psicologici legati ad un passato di tossicodipendenza, pur avendo intrapreso un’attività lavorativa che però aveva in seguito abbandonato di sua spontanea volontà.
Il principio che emerge da tali significativi interventi del Giudice di legittimità è quello di riconoscere ai genitori il venir meno del loro obbligo di mantenere la prole qualora riescano a fornire la prova che, pur essendo il figlio ormai maggiorenne in condizione di raggiungere l’autosufficienza economica, non abbia saputo o non abbia voluto, per inescusabile trascuratezza, o per discutibile scelta, o per negligenza, o per il nutrimento di aspirazioni eccessive o velleitarie, conseguirla.
Di conseguenza al genitore che venga richiesto di contribuire al mantenimento del figlio che ha raggiunto la maggiore età ed anche l’autosufficienza economica, sebbene sia momentaneamente privo di un’occupazione lavorativa stabile, o abbia subito il licenziamento, o abbia rassegnato le dimissioni, o altra causa per la quale il rapporto sia venuto meno, l’ordinamento consente di adire l’autorità giudiziaria per ottenere la modifica dell’obbligo di corresponsione dell’assegno stabilito in sede di separazione o divorzio.
Rimane, invece, a carico del genitore l’obbligo di corrispondere gli alimenti a favore del figlio qualora quest’ultimo si venga a trovare in stato di bisogno. L’assegno alimentare, in ogni caso, ha natura e misura completamente differenti dall’assegno di mantenimento, in quanto viene riconosciuto soltanto in ipotesi di oggettiva impossibilità per il soggetto beneficiario di procurarsi i mezzi necessari al proprio sostentamento in modo autonomo e viene determinato esclusivamente in riferimento allo stretto necessario per vivere.
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