Nel procedimento di accertamento dell’addebito della separazione ad uno dei coniugi quale può essere la rilevanza di sms, whatsapp, social network e foto per la prova del tradimento coniugale?
Fotografie, detective, facebook, chat e messaggi sul cellulare possono costituire valide prove da produrre in giudizio, per dimostrare il tradimento del marito o della moglie. Ma a quali condizioni?
Da un lato questi supporti costituiscono strumenti che possiamo definire di uso comune, dall’altro però rappresentano un pericolo per la privacy.
Nei procedimenti di separazione, divorzio o quelli che riguardano i figli minori sempre più spesso, infatti, si ricorre all’uso di tali mezzi per documentare fatti sia personali sia economici (come ad esempio l’adulterio e il tenore di vita).
Nell’ambito del matrimonio, il tradimento – che comporta la possibilità di chiedere la separazione con imputazione di colpa a carico del coniuge infedele (c.d. “addebito”) – può infatti essere dimostrato, davanti al giudice, con diversi strumenti di prova. Chi dei due coniugi riesce a documentare l’altrui infedeltà non è tenuto a pagargli l’assegno di mantenimento, salvo che quest’ultimo dimostri che la coppia era in crisi ancor prima del tradimento stesso e che tale atto sia stato solo una naturale conseguenza di un legame già irrimediabilmente rotto.
Di recente la Corte di Cassazione, con sentenza n. 5510 del 6 marzo 2017, si è pronunciata sull’uso degli sms contenenti frasi amorose scambiate dal coniuge con il proprio amante, ai quali ha dato rilevanza per la prova dell’adulterio.
Nel caso di specie, la Cassazione ha fondato l’addebito della separazione a carico del marito per la violazione dell’obbligo di fedeltà, avendo desunto da alcuni messaggi di contenuto inequivocabile, presenti sul cellulare del marito, il tradimento perpetrato nei confronti della moglie, per la quale i predetti messaggi costituivano la ragione determinate della crisi coniugale.
Per dimostrare l’infedeltà coniugale, per l’appunto, i messaggi dell’amante rappresentano prova sufficiente di una relazione extraconiugale.
Non si tratta di una vera prova documentale, ma di una c.d. “riproduzione meccanica” che ha valore di prova solo se non contestata dalla controparte. La contestazione non può essere semplice e generica. La parte contro cui vengono prodotti gli sms non può limitarsi a contestarli, ma deve fornire al giudice delle valide giustificazioni per supportare tale contestazione.
In presenza però di una contestazione valida, la riproduzione meccanica perde il suo valore di prova, ma potrebbe sempre riacquistarlo se supportata da ulteriori elementi di prova. Il caso tipico è quello di un testimone che asserisca di aver preso diretta visione del contenuto in oggetto, tramite lettura personale. È il caso del coniuge che dimentica il cellulare a casa e, per caso, riceve un sms dall’amante che viene letto oltre che dall’altro coniuge tradito (che, evidentemente, non può testimoniare a proprio fare in causa), anche dalla sorella o dal fratello di quest’ultimo che, in quel momento, si trovava insieme e ha potuto leggere direttamente il testo del messaggio. In tal modo è la stessa testimonianza a costituire l’elemento necessario al giudice per confermare il fatto e conferirgli il valore di prova.
L’acquisizione potrà infine ritenersi lecita soltanto nell’ipotesi in cui il messaggio venga letto casualmente e non intenzionalmente. Generalizzando, possiamo dire che i confini della liceità dell’acquisizione e dell’uso di queste prove devono essere ricercati nel buon senso e nelle consuetudini all’interno della coppia.
Potrà, quindi, essere considerata lecita la produzione di sms quando è acquisita da un telefono lasciato a casa e i messaggi sono visibili, oppure quando i coniugi siano soliti visualizzare il cellulare altrui e il messaggio venga letto per sbaglio.
Qualora invece il coniuge acquisisca gli sms violando una password attiva sul telefono dell’altro coniuge, questa prova non potrà essere usata in giudizio.
In questo caso, infatti, vi sarebbe una vera e propria violazione della corrispondenza che rende illecita la prova.
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