Non costituisce reato il pagamento parziale dell’assegno di mantenimento per figli minori di genitori non coniugati
La Suprema Corte di Cassazione, sezione penale, con una recente sentenza n. 2666 del 19/01/2017 ha annullato il provvedimento di condanna di un padre per omesso mantenimento, in quanto i genitori erano soltanto conviventi.
Non può applicarsi l’art. 3 della legge 54/2006 – secondo il quale, in caso di violazione degli obblighi di natura economica si applicano le pene previste per il reato di violazione degli obblighi di assistenza famigliare – quando non sia stato posto in essere il matrimonio ma sussista solo un legame di convivenza.
La vicenda trae origine dal caso di un genitore, condannato per il reato previsto dall’art. 3 della legge n. 54/2006, per aver versato alla ex-compagna solo parte della somma per il mantenimento del figlio minorenne, rispetto al maggiore importo fissato dal Tribunale per i Minorenni, nonché per aver omesso di versare la quota del 50% delle spese mediche e straordinarie.
La Cassazione con la sentenza in commento, annulla senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, la condanna inflitta al genitore parzialmente inadempiente nel versare quanto dovuto alla sua ex compagna per il mantenimento del figlio minore, in quanto dagli atti era emerso con chiarezza che l’uomo era legato alla denunciante non da rapporto di coniugio, bensì da rapporto di convivenza.
La disposizione in esame, in forza della quale in caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l’art. 12-sexies della legge sul divorzio n. 898/70, deve essere letta nel contesto della disciplina dettata dalla legge n. 54/2006, e, in particolare, dell’art. 4, comma 2, che stabilisce che le disposizioni di tale legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.
Secondo i giudici di legittimità, le disposizioni della legge n. 54/2006 sono indicate come da applicare non in caso di figli di genitori non coniugati, ma ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.
Tale precisazione non risulta priva di possibili significati rilevanti, poiché la disciplina dettata dalla legge n. 54/2006, regola i provvedimenti che il giudice deve adottare in relazione ai figli allorché interviene la separazione tra i genitori, modificando il codice civile (art. 155) e introducendovi nuovi articoli (artt,155-bis e ss.), nonché i profili processuali relativi alle controversie in materia di esercizio della potestà genitoriale e di affidamento, modificando l’art. 708 c.p.c e introducendo l’art. 709-ter c.p.c..
Concludendo, si può affermare che, mentre in caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio si applicano tutte le disposizioni previste dalla legge n. 54/2006, per quanto riguarda i figli di genitori non coniugati il riferimento ai “procedimenti relativi” agli stessi assolve alla funzione di circoscrivere l’ambito delle disposizioni applicabili a quelle che concernono i procedimenti indicati dalla medesima legge, e che sono quelli civili di cui all’art. 2, e non anche alle previsioni normative che attengono al diritto penale sostanziale. Tale soluzione, secondo la Suprema Corte, risulterebbe maggiormente rispondente al principio del “diritto penale minimo”, oltre a non ledere la posizione dei figli di genitori non coniugati, per la tutela dei quali è possibile il ricorso a tutte le azioni civili, ferma restando l’applicabilità della fattispecie penale di cui all’art. 570, secondo comma, n. 2 del c.p..
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