Non è ammissibile la conversione dell’amministrazione di sostegno in interdizione se il beneficiario è in grado di gestirsi autonomamente
Si all’amministrazione di sostegno anche in caso di comportamento fortemente oppositivo della beneficiaria nei confronti degli amministratori di sostegno via via nominati, qualora la persona sia in grado di autogestirsi nella quotidianità. In tal senso si è pronunciato recentemente il Tribunale di Udine, con la sentenza del 25/03/2017 n. 435, rigettando il ricorso presentarto dal Pm ed affermando che “eventuali condotte oppositive gravi della beneficiaria, possono sempre trovare opportuno rimedio con l’estensione, ove necessario, di singole previsioni incapacitanti (ex art. 411 ultimo comma c.c.)”, sicché non si giustifica l’adozione del più grave provvedimento dell’interdizione.
Il Pm aveva chiesto l’interdizione sostenendo che, a causa della grave malattia mentale della quale risultava affetta la beneficiaria, l’istituto dell’amministrazione di sostegno si era rivelato inidoneo a rispondere alle concrete esigenze della beneficiaria. Per il Collegio invece la domanda non può essere accolta. La L. n. 6/2004 ha radicalmente modificato gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, nel senso che ora “possono”, e non più “devono” essere interdette le persone che si trovano in una condizione di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, e solo “quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione”. L’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, non già alla disponibilità od alla capacità del disabile a collaborare con l’amministratore di sostegno, non già alla volontà del disabile di essere soggetto a questa forma di assistenza, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di della persona affetta da disabilità, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. L’interdizione, e l’inabilitazione, mantengono in sostanza un carattere meramente residuale, dovendo applicarsi le stesse – afferma la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale, solo quando ciò appaia lo strumento ultimo e necessario per assicurare un’adeguata protezione all’inabilitazione.
Con riferimento al caso di specie, dalla relazione medica, emergeva che effettivamente gli amministratori di sostegno erano stati ritenuti dalla beneficiaria, affetta da psicosi delirante, dopo un certo lasso di tempo, complici di ingiustizie subite e, perciò, rifiutati. Tuttavia risultava anche che la signora fosse perfettamente in grado di gestire le operazioni proprie della semplice quotidianità (ad es. tenere pulita la casa, fare la spesa, ritirare la pensione). Il Collegio, dunque, pur riconoscendo l’abituale infermità di mente, ha ritenuto che, dal punto di vista clinico, la migliore tutela sia quella dell’istituto dell’amministrazione di sostegno. A tale conclusione, si è giunti tenendo conto del chiaro favor del nostro ordinamento per l’istituto dell’amministrazione di sostegno, al fine di evitare forme di limitazione assoluta della capacità di agire del soggetto bisognoso, non rispettose dei principi generali e dei diritti personali fondamentali della persona.
Non si può, infatti, impedire all’incapace, che ha dimostrato di essere in grado di provvedere in forma sufficiente alle proprie quotidiane ed ordinarie esigenze di vita, il compimento, con il supporto di un amministratore di sostegno, di atti di gestione ed amministrazione del patrimonio posseduto, restando affidato al giudice tutelare il compito di conformare i poteri dell’amministratore e le limitazioni da imporre alla capacità del beneficiario in funzione delle esigenze di protezione della persona e di gestione dei suoi interessi patrimoniali, ricorrendo eventualmente all’ausilio di esperti e qualificati professionisti del settore.
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