Non sussiste violazione dell’obbligo di coabitazione se ad andarsene di casa è il coniuge tradito
È legittimo l’allontanamento dalla casa coniugale legato alla scoperta della relazione del coniuge con un’altra persona, vera causa della fine del rapporto che giustifica l’abbandono del tetto.
A chiarirlo è la Cassazione con una recente pronuncia n. 7469/2017 del 23.03.2017, con la quale la Corte ribadisce che in presenza di due comportamenti posti da tutti e due i coniugi ed entrambi contrari alle regole del matrimonio, la separazione va addebitata a colui che, per primo, con la propria condotta, ha decretato la fine dell’unione. È questo comportamento, infatti, a rendere l’altrui violazione non già causa, ma conseguenza di una situazione ormai irrimediabilmente compromessa.
Il coniuge tradito non è pertanto obbligato a vivere sotto lo stesso tetto di quello che ha commesso adulterio, ma, in caso di infedeltà, può andare via di casa senza perciò rischiare l’addebito nella successiva separazione. Questo perché la convivenza è diventata intollerabile non già a seguito dell’abbandono dell’abitazione, ma per la relazione extraconiugale.
Ai fini dell’addebito della separazione, la Corte si è infatti attenuta al principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la relativa pronuncia presuppone l’accertamento della riconducibilità della crisi coniugale alla condotta di uno o di entrambi i coniugi, consapevolmente e volontariamente contraria ai doveri coniugali, e quindi della sussistenza di un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza, condizione per la pronuncia di separazione.
Nella valutazione della condotta di ciascun coniuge, la Corte ha dato opportunamente atto dell’esigenza di tener conto anche di quella dell’altro, in modo tale da stabilire, attraverso un giudizio di natura comparativa, se il comportamento censurato potesse ritenersi relativamente giustificato, configurandosi non tanto come causa, quanto come effetto della frattura dell’unione, già eventualmente verificatasi (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. 1, 20 agosto 2014, n. 18074; 27 giugno 2006, n. 14840; 11 giugno 2005, n. 12383). È in quest’ottica che essa ha escluso la responsabilità della moglie per il fallimento dell’unione, osservando che l’allontanamento della stessa dalla casa coniugale, addotto a sostegno della domanda di addebito proposta dal marito, non costituiva violazione del dovere di coabitazione, essendo stato determinato dalla scoperta di una relazione intrapresa dall’uomo con un’altra donna, ed individuando proprio in tale circostanza la causa dei litigi tra i coniugi e dell’irreversibile crisi del nucleo familiare, con la conseguente addebitabilità della separazione al ricorrente.
Il tradimento è una violazione sufficientemente grave per far presumere che la fine della comunione materiale e spirituale tra i coniugi sia dovuta ad esso. Per cui, chi vuol addebitare la separazione all’altro coniuge andato via di casa deve anche dimostrare che il precedente tradimento era stato perdonato e che la coppia non era in crisi: insomma, deve dimostrare al giudice che l’infedeltà era stata superata e che la separazione è stata determinata unicamente dall’abbandono del tetto coniugale. In assenza di tale prova, se il tradimento è anteriore, il coniuge fedifrago subirà l’addebito.
L’allontanamento dalla casa coniugale – commenta la Cassazione nel caso di specie – non costituisce “violazione del dovere di coabitazione, essendo stato determinato dalla scoperta di una relazione intrapresa dal coniuge con un’altra persona, e individuando proprio in tale circostanza la causa dei litigi tra i coniugi e dell’irreversibile crisi del nucleo familiare, con la conseguente addebitabilità della separazione” al fedifrago.
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