Non viene riconosciuto il rimborso delle spese di manutenzione della casa coniugale in comunione anticipate dal coniuge nelle more del procedimento di separazione se l’altro coniuge separato non ha fornito il consenso
Il coniuge che nelle more del procedimento di separazione personale dall’altro coniuge abbia sostenuto delle spese di manutenzione dell’immobile soggetto al regime di comunione legale dei beni, non ha diritto a chiederne il rimborso all’altro coniuge, a meno che non riesca a dimostrare che quest’ultimo aveva acconsentito al compimento degli interventi manutentivi o che pur essendone stato informato, sia rimasto colpevolmente inerte.
È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione II Civile, con ordinanza del 23 agosto 2017, n. 20283, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso, nel caso de quo, dalla Corte d’Appello di Catania.
La vicenda trae origine dalla pronuncia con la quale la Corte d’Appello di Catania, ha rigettato l’appello proposto da Tizio contro la sentenza del Tribunale di Catania che aveva a sua volta disatteso la domanda da lui proposta nei confronti del coniuge separato, tendente ad ottenere il rimborso delle spese effettuate negli anni 2006-2007-2008 quale amministratore della comunione dei beni anche per il periodo successivo alla separazione.
La Corte territoriale, richiamandosi al principio della inderogabilità delle norme relative alla amministrazione dei beni della comunione tra i coniugi (art. 210 comma 3 c.c.), destinate ad applicarsi in via prevalente rispetto alle norme sulla comunione in generale (artt. 1100 e ss. del c.c.) ha precisato che Tizio in costanza di convivenza coniugale aveva esercitato il normale potere di amministrazione disgiunta ex art. 180 c.c. e che, una volta intervenuto lo scioglimento della comunione col passaggio in giudicato della sentenza di separazione, non poteva compiere atti di amministrazione senza il consenso dell’altro coniuge titolare, ai sensi dell’art. 1105 c.c., del pari diritto di concorrere nella amministrazione della cosa comune, consenso nel caso di specie non preventivamente richiesto.
Gli unici atti consentiti erano quelli conservativi (in caso di inattività o trascuranza dell’altro compartecipe), mentre per quanto riguarda l’amministrazione e l’esecuzione delle attività già deliberate era ammesso, in caso di dissenso o inerzia dell’altro coniuge, il ricorso all’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 1105 comma 4 c.c..
Più precisamente, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, in tema di spese di conservazione della cosa comune, l’art. 1110 c.c., indipendentemente dall’urgenza o meno dei lavori, stabilisce che il partecipante alla comunione, il quale, in caso di trascuranza degli altri compartecipi o dell’amministratore, abbia sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso, a condizione di aver precedentemente interpellato o, quantomeno, preventivamente avvertito gli altri partecipanti o l’amministratore, sicché solo in caso di inattività di questi ultimi egli può procedere agli esborsi e pretenderne il rimborso, pur in mancanza della prestazione del consenso da parte degli interpellati, incombendo comunque su di lui l’onere della prova sia della suddetta inerzia che della necessità dei lavori (cfr. Corte di Cassazione, Sez. II, Sentenza n. 20652 del 09/09/2013; Corte di Cassazione, Sez. II, Sentenza n. 10738 del 03/08/2001).
Nel caso in esame, il relativo onere probatorio non risulta essere stato assolto da parte di Tizio, il quale, nonostante l’inderogabilità delle norme sull’amministrazione dei beni soggetti al regime della comunione legale ex art. 210 c.c., si è limitato a dedurre di avere compiuto le opere di manutenzione nella veste di amministratore della cosa comune, ai sensi dell’art. 1106 c.c., sebbene in materia sussista il principio dell’amministrazione disgiunta tra i coniugi ai sensi dell’art. 180 c.c., in forza del quale il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi.
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