Per la Suprema Corte di Cassazione il principio della c.d. bigenitorialità non significa tempi paritari di permanenza del minore con entrambi i genitori

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Il principio di bigenitorialità si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse, ma ciò non comporta l’applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore, in quanto l’esercizio del diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore.

In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione con ordinanza numero 31902/2018, nella quale i giudici della prima sezione civile hanno spiegato che il predetto principio deve essere inteso come “diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse”.

Tale pronuncia si pone in controtendenza rispetto a quanto stabilisce, invece, il decreto legislativo delegato Pillon, che a tale proposito sancisce che i minori hanno “il diritto di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici o equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale”

Secondo la Corte, invece, occorre considerare le esigenze di vita del minore e dell’altro genitore e, quindi, il modo in cui la madre e il padre svolgevano i propri compiti prima della disgregazione della loro unione.

Per la Corte di Cassazione insomma – come del resto già affermato nella sentenza numero 18817/2015 – la bigenitorialità deve essere intesa come presenza comune di mamma e papà nella vita dei figli, tenendo però conto del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore.

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