Con l’introduzione della Legge Pinto (legge 24 marzo 2001 n. 89) chi ha subito un danno per il mancato rispetto del termine ragionevole della durata del processo, previsto dall’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione della salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, può richiedere un’equa riparazione per ogni anno di durata eccessiva.

La durata ragionevole del processo potrà essere determinata in 3-4 anni per il processo di primo grado, 2 anni per il processo di secondo grado e 1 anno per il processo in Cassazione. Nella determinazione del tempo ragionevole verranno valutate una serie di circostanze, come la complessità della causa, il comportamento delle parti e del giudice.

Il riconoscimento di un indennizzo non avviene in modo automatico, ma necessita dell’instaurazione di un procedimento di volontaria giurisdizione da promuovere nei confronti della Corte d’Appello territorialmente competente individuata in base ad una tabella allegata alle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale.

Termini per chiedere il risarcimento: la domanda di risarcimento può essere proposta durante la pendenza del procedimento  o entro 6 mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva. Nel caso in cui viene chiesto a processo ancora pendente, verrà fatta una prima liquidazione e, nell’ipotesi in cui il processo non terminerà entro un tempo ragionevole, per l’ulteriore risarcimento verrà fatta una successiva liquidazione.

La domanda può essere proposta dalle parti del processo incriminato indipendentemente dall’esito del giudizio, se si vinca, si perda o si concili la causa davanti il giudice.

La Corte dovrebbe pronunciarsi entro 4 mesi dal deposito del ricorso (tale termine è ordinatorio e la durata media del procedimento è attualmente di circa 18 mesi) e il decreto è impugnabile per Cassazione.

Il procedimento non è soggetto al pagamento del contributo unificato.

Il ricorrente ha diritto ad ottenere dallo Stato un indennizzo a titolo di equa riparazione, può ottenere il risarcimento sia del danno patrimoniale, in relazione alla natura della causa e occorre dimostrare il danno emergente e il lucro cessante, sia del danno non patrimoniale, che è una conseguenza normale della violazione del diritto della ragionevole durata del processo, e va ritenuto sussistente senza bisogno di una specifica prova diretta o presuntiva (Cass. Sezioni unite del 26/01/2006 n. 1340).

L’ammontare del risarcimento dipende dalla sede della Corte e dalla materia del procedimento: ad esempio il risarcimento sarà più alto per questioni in materia di famiglia e status della persona, cause che incidono sulla vita e sulla salute. L’equa riparazione consiste solitamente tra i 750 € e i 2000 € per ogni anno di durata eccessiva del processo.

L’insufficienza dell’indennizzo accordato in base alla legge Pinto non impedisce l’impugnazione del decreto alla Corte Europea (CEDU) per domandare un’ulteriore soddisfazione per la violazione patita.

La Corte di Appello di Trento ha condannato il Ministero della Giustizia a pagare 10.000 € per un processo durato 14 anni, decreto n. 95 del 2010, precisando che “non risulta che il giudizio presupposto presentasse particolari complessità, [..] merita di essere accolta la domanda intesa al riconoscimento del danno morale, poiché si presume che le lungaggini processuali abbiano potuto determinare nella parte uno stress da attesa che merita di essere indennizzato pur se la parte ricorrente è una società [..]”.

Anche le società, oltre alle persone fisiche, sono soggetti giuridici che possono richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale per irragionevole durata del processo, in quanto le situazioni giuridiche a loro imputate sono riferibili ad individui.

Il decreto che conclude il procedimento è motivato in forma sintetica e immediatamente esecutivo. Se il ministero non provvede volontariamente al pagamento delle somme, si potrà agire esecutivamente per il recupero forzoso del proprio credito.

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