Responsabilità medica: il risarcimento del danno al bene della salute in sé non copre anche il danno da mancata adesione al trattamento sanitario

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La vicenda prende avvio da un intervento chirurgico effettuato nel 1993 presso una casa di cura dal medico curante ad una signora che da tempo soffriva di cefalea. Nonostante l’intervento chirurgico fosse andato a buon fine, le crisi di cefalee della paziente non erano passate ed anzi, dopo l’intervento, presentava nuovi sintomi prima assenti quali problemi di respirazione, diminuzione dell’olfatto, infiammazioni della rinofaringe e sintomi depressivi.

La signora, il marito e la figlia avevano quindi citato il medico curante e la casa di cura contestando loro di aver optato per un trattamento chirurgico inadeguato alle esigenze della paziente e di non averla adeguatamente informata circa i rischi e le possibili conseguenze dell’operazione.

In tale sede, mentre al marito e alla figlia era stato negato ogni tipo di risarcimento, la paziente aveva ottenuto un risarcimento, poi confermato anche in appello, comprensivo della sofferenza morale e di ogni altro danno non patrimoniale dedotto dalla ricorrente.

A questo punto la paziente, il marito e la figlia hanno portato la questione di fronte alla Cassazione sulla base di quattro motivi dei quali il secondo è quello più interessante ai nostri fini. I ricorrenti ritenevano, infatti, che il danno da mancanza di informazione adeguata da parte del medico curante e il conseguente consenso informato da parte della paziente fosse una voce autonoma di risarcimento che avrebbe dovuto essere liquidato a prescindere dal danno alla salute e dagli altri danni connessi.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, limitatamente a questo motivo, sulla base del fatto che è principio consolidato che il danno cagionato dalla mancanza del consenso informato relativamente ad un intervento chirurgico costituisce già di per sé fonte di risarcimento anche laddove l’intervento venga eseguito alla perfezione e sia risolutivo della patologia del paziente.

Per consenso informato si deve intendere una consapevole approvazione del trattamento sanitario proposto dal medico curante che ha quindi il dovere di informare adeguatamente il paziente circa l’intervento, le terapie, i rischi e tutte le eventualità che potrebbero plausibilmente avverarsi.

Da queste considerazioni deriva la conseguenza per cui privare il paziente di tale consenso informato significa privarlo della sua libertà di autodeterminazione dal momento che, non essendo sufficientemente a conoscenza degli elementi necessari non ha gli strumenti idonei a compiere una scelta ponderata.

L’acquisizione del consenso informato è una prestazione diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento terapeutico in sé e come tale, in caso di errata esecuzione, il danno va autonomamente risarcito.

La Cassazione, quindi, nel caso di specie, ha riscontrato, nelle sentenze di grado precedente, una contraddizione nel momento in cui i giudici, pur avendo riconosciuto la mancanza di un’adeguata informazione nei confronti della paziente, poi non avevano risarcito autonomamente il danno da ciò derivante.

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