Revoca assegnazione casa familiare se il figlio non vi abita più
L’assegnazione della casa coniugale viene meno in mancanza della stabile convivenza tra il genitore assegnatario e il figlio maggiorenne
A stabilirlo è VI sezione civile della Corte di Cassazione con ordinanza n. 16134/2019 depositata il 17 giugno 2019.
La vicenda vedeva l’ex marito adire il Tribunale di Roma per chiedere la revoca dell’assegnazione della casa familiare alla moglie divorziata, atteso che la figlia maggiorenne, non ancora autosufficiente, si era trasferita fuori sede per frequentare l’università rientrando a casa con cadenze irregolari e solo saltuariamente . La domanda, rigettata in primo grado, era accolta dalla Corte d’Appello sulla base di risultanze istruttorie che inducevano ad una valutazione opposta a quella fatta propria dal tribunale, nel senso di disvelare una organizzazione di vita della figlia del reclamante in termini di autonomia rispetto ai genitori, anche se non dal punto di vista economico, tale da far ritenere reciso il legame con la casa familiare.
La moglie ricorreva in Cassazione, censurando il provvedimento alla luce di una decisione assunta in base al principio della mera prevalenza temporale senza tenere in debito conto gli impegni universitari, caratterizzati dalla frequenza obbligatoria e da periodi di tirocinio.
La Corte, respinge il gravame, condividendo la ratio decidendi della Corte d’Appello distrettuale basata sulle affermazioni secondo le quali la figlia aveva consapevolmente reciso il legame con la casa familiare, intesa quale ambiente domestico necessario a garantire nella quotidianità quei riferimenti affettivi utili e di sostegno ad una crescita serena, in quanto comprensibilmente mossa dalla possibilità di una comunanza di vita con il fidanzato; che da tale scelta conseguiva la decisione di studi universitari in località compatibile con il trasferimento lontano dalla casa familiare.
In particolare, osserva la Suprema Corte che non può affermarsi la convivenza del figlio che, in una data unità temporale particolarmente estesa, risulti obiettivamente assente da casa, sia pure per esigenze lavorative o di studio, e ciò sebbene vi ritorni regolarmente appena possibile.
Secondo i Giudici di legittimità la nozione di convivenza agli effetti dell’assegnazione della casa familiare richiede un collegamento stabile con l’abitazione del genitore, con eventuali e sporadici allontanamenti per brevi periodi. La rarità dei rientri, chiarisce la Corte, e l’assenza per tutto il periodo considerato, non possono essere controbilanciati dalla sola ipotetica regolarità del ritorno, altrimenti il collegamento con l’abitazione diverrebbe troppo labile, sconfinando nel mero rapporto di ospitalità.
La sentenza esaminata, pertanto, evidenzia che il requisito della convivenza sussiste solo a condizione che il ritorno presso la casa familiare sia frequente e cadenzato con regolarità. Per tali ragioni, la Corte rigettava il ricorso ritenuto che, dalle circostanze di fatto emerse, la figlia avesse costituito un autonomo habitat domestico, distinto da quello originario, ormai disgregato, venendo meno il presupposto per l’assegnazione della casa coniugale.
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